François Ozon in commedia con Mon crime La colpevole sono io, in sala dal 25 aprile con BIM dopo l’anteprima al festival romano Rendez Vous. Ambientato negli anni ’30, ma con un gusto tutto contemporaneo, sulla scorta della pièce omonima di Georges Berr e Louis Verneuil (1934), imbastisce una maliziosa commedia giudiziaria dal forte retrogusto femminista (leggi il nostro articolo). Ideale completamento di una trilogia composta da Otto donne e un mistero e Potiche, il film ha per protagoniste Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz), aspirante attrice carina e senza un franco in tasca, e la sua amica e coinquilina Pauline (Rebecca Marder), avvocata altrettanto squattrinata ma assai scaltra. A Roma per Rendez-Vous le due giovani e promettenti attrici e il regista.
Ozon, come mai ha deciso di fare un film da questa pièce e come la ha affrontata?
Ho fatto molti film drammatici ultimamente e avevo voglia di tornare alla commedia in un momento così difficile per tutti, in Francia come in italia, durante e dopo la pandemia. Inoltre volevo tornare a parlare della condizione femminile, dopo Otto donne e un mistero e Potiche. In un certo senso ho concluso una trilogia.
Il cast è notevole, con incursioni di immensi attori come Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussollier.
Sì, è un cast davvero importante, ma il fulcro sono le due giovani attrici, perché il film poggia tutto sulle loro spalle. Così sono partito da loro e ho trovato le due migliori della nuova generazione. Nadia ha già vinto un César come Promessa e Rebecca lo vincerà l’anno prossimo. C’era una perfetta alchimia tra loro due, erano bravissime a recitare, cosa fondamentale in un film tanto parlato e per giunta in una lingua che non siamo più abituati a praticare. Del resto, Rebecca viene dalla Comédie Francaise e anche Nadia è molto solida.
E i big?
Luchini è al suo terzo film con me, Isabelle Huppert ha già lavorato in Otto donne, Boon era la prima volta che lo incrociavo, Dussollier era anche nel mio film precedente. Sono tutte star che hanno accettato di esserci nonostante i ruoli di contorno: non era scontato che moderassero il loro egocentrismo.
Ha riscritto un testo del ’34 rendendolo attuale.
Ozon. Ammetto di aver molto riscritto la pièce che non era certo femminista, anzi piuttosto misogina. Ho reso i due personaggi principali due complici e non rivali, mentre il personaggio di Isabelle Huppert nell’originale era un uomo. Nella pièce poi manca il processo. Insomma, sono intervenuto con cambiamenti radicali. La commedia permette di dire cose importanti e assai serie sulla condizione della donna in modo leggero: si parla di parità di genere, di pari opportunità. Se il film fosse stato ambientato ai nostri giorni non sarebbe stato una commedia ma piuttosto un dramma come Grazie a Dio (il suo film sulle vittime dei preti pedofili, ndr).
Nadia Tereszkiewicz. E’ vero, nel film c’è una sorellanza tra queste ragazze che vogliono lavorare e sognano di superare la loro condizione. Dicono una bugia, in effetti, ma questo permette di difendere la propria condizione, di prendere la parola e fare un discorso politico. Tante cose da allora sono cambiate, ma c’è ancora tanto da rivendicare.
Rebecca Marder. È importante conservare l’autenticità e la sincerità pur lavorando su un testo letterario per restare vicini alla modernità. Bisognava ricreare la distanza degli anni ’30 ma anche colmarla, mostrare quanta strada è stata fatta ma anche indicare che il percorso è ancora lungo. Francois ci ha chiesto di recitare con uno stile serrato e un ritmo rapido, molto attuale.
C’è un riferimento al primo film di Billy Wilder, Amore che redime.
Ozon. Sono un grandissimo fan della screwball comedy creata dai registi emigrati dall’Europa negli Stati Uniti per fuggire dal nazismo, come Lubitsch e Wilder, loro hanno dato origine alla miglior commedia effervescente. Ho cercato di ritrovare un po’ quello spirito e per evocare quegli anni ho reso omaggio al primo film di Wilder Amore che redime, appunto, che è stato girato in Francia, prima che lui si trasferisse in America. La protagonista è Danielle Darrieux che era la più nostra grande star degli anni ’30, tutte le donne volevano essere lei ed era nota anche per la modernità della sua recitazione. Ho lavorato con lei in Otto donne. Wilder e Danielle sono i due angeli custodi del film.
Gli echi del #MeToo sono tangibili, si parla anche di “divano del produttore”, ma tutto viene detto con garbo, ironia ed eleganza.
Ozon. Il #MeToo è stato del tutto positivo, le donne hanno preso finalmente la parola e questo è molto importante, in un ambiente gerarchizzato come l’industria cinematografica dove ci sono stati molti abusi. È stato fondamentale per rimettere le cose a posto. In tutte le rivoluzioni, ovviamente, ci sono degli eccessi. Le mie protagoniste ricorrono alla violenza e al crimine – anche se il mio film non è una apologia del crimine – ma credo sia divertente mostrare il femminismo in questa chiave. Anche la rivoluzione che sta accadendo ora in Francia è a volte violenta, è inevitabile. Negli anni ’30 il patriarcato era molto duro. Per sposarsi occorreva avere una dote, le donne non votavano, non potevano neppure avere un libretto degli assegni. L’unico modo per ribellarsi era trasgredire. Ma sono stato attento a far sì che Madeleine non mentisse quando parla degli abusi subiti, perché non volevo assolutamente screditare la parola delle donne che devono essere credute quando denunciano. Invece Madeleine mente sul fatto che ha ucciso e questa, se volete, è la perversione del mio film.
Rebecca. Sono felice di cominciare questo mestiere proprio adesso che ci sono tanti ruoli femminili, tante donne che scrivono e che dirigono, ma anche tanti uomini che pensano ruoli per le donne e non solo per le giovani ma per tutte le età.
Nadia. Mi fa piacere che il film mostri la sorellanza e non la rivalità tra le donne. All’inizio ci sono due cliché: la bella oca e la ragazza intelligente, come si vede nei film degli anni ’30, ma poi mostriamo che hanno bisogno l’una dell’altra e nutrono un’amicizia vera.
Ozon, come ha lavorato sul personaggio di Isabelle Huppert, un’attrice del muto che si reinventa accanto alla giovane collega con totale complicità?
Come dicevo, quel personaggio era un uomo e io ho conservato i dialoghi maschili con un vocabolario volgare, da carrettiere. Isabelle Huppert, che è l’icona dell’attrice intellettuale ed elegante, si è prestata al gioco. Il suo personaggio si ispira un po’ alla grande interprete teatrale Sarah Bernhardt, è rimasta ai primi del Novecento, anche nel modo di vestirsi, sembra appena scesa dal palcoscenico. Isabelle ha subito accettato il ruolo anche se si è lagnata del fatto che le offro solo ruoli di commedia. Per me lei è straordinaria nella commedia perché non ha paura del ridicolo ed è velocissima nei dialoghi. E’ stato bello il confronto tra un’attrice consacrata come lei e due attrici che cominciano, senza rivalità, anzi con complicità. Inoltre la grande Huppert nel ruolo di un’attrice scarsa è un bellissimo paradosso.
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