LECCE. Tra i primi a sdogare i B-movies di Fernando Di Leo fu il critico Giovanni Buttafava, definendoli, più di 30 anni fa sul ‘Patologo’, dei “potenziali cult movies”. In grande anticipo rispetto a Quentin Tarantino che si dice folgorato sulla via del cinema, quand’era commesso in un video magazzino di Santa Monica, da I padroni della città , “una storia di gangster che avrebbe potuto benissimo essere stata girata da Don Siegel”, poi da La mala ordina, “un vero capolavoro del genere poliziesco”, e infine da Il boss, “un altro capolavoro pieno di amarezza e crudeltà”.
A dieci anni dalla scomparsa del regista e sceneggiatore pugliese, il Festival del cinema europeo ha proposto una rassegna dei suoi titoli più rappresentativi realizzata in collaborazione con la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e Minerva Pictures.
Ed è anche l’occasione per vedere in anteprima Fernando Di Leo. Un pugliese a Roma di Deborah M. Farina, a cura di Domenico Monetti e Luca Pallanch, un documentario in progress (30 minuti) che verrà presto ampliato. Un ritratto innanzitutto dell’uomo e meno del regista, spiegano gli autori. Attenzione puntata sulla sua vita in provincia prima dell’arrivo a Roma e sul lungo periodo di inattività cominciato a metà degli anni ’80. Prendono la parola Renzo Arbore, compagno di scorribande giovanili, l’attore Pier Paolo Capponi, la nipote Giuliana Di Leo e la sorella Rita Di Leo. Veniamo a sapere così del suo precoce amore per il cinema che lo porta a fondare un cineclub che funzionava la domenica mattina. Scopriamo anche le sue poesie tenute nascoste ai più.
Del resto prima della sua carriera cinematografica, Di Leo collabora a testi teatrali insieme a Eco, Bene, Flaiano, Camilleri, Patti e Cobelli. Poi dal 1963 al 1985, firma la regia e la sceneggiatura di film noir, erotici, western (diretti da Sergio Leone) e di qualche poliziottesco.
“E’ stato Milano calibro 9 (1972) il film chiave della sua carriera – spiega il critico cinematografico Marco Giusti – con il quale Di Leo sperimenta il genere noir”.
Il critico Davide Pulici, fondatore della rivista ‘Nocturno’ che rivalutato e indagato il cinema di genere, ha frequentato il regista dal 1996 fino alla sua scomparsa nel 2003. “Cercava la dimensione del realismo. Essendo un classicista, un conoscitore della letteratura inglese, francese e americana, trasferisce nei suoi film gli eroi e i protagonisti di quella narrativa. E si avvale anche della conoscenza diretta del mondo criminale grazie al padre avvocato”. Pulici ricorda poi con un po’ di amarezza gli ultimi anni della sua vita, quando Di Leo rifugge dalle apparizioni pubbliche, nonostante gli inviti.
“Un uomo dolce e gentile, che quando giravo le scene non diceva nulla, zitto, avaro di complimenti. Dovevi essere tu a chiedergli come ero andata. E lui secco: perfetta”, conclude l’attrice Barbara Bouchet.
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