L’ingresso in sala di Fiorello è come un ingresso in scena, sia per il pubblico che l’ha accolto con il calore che si riserva ai grandi mattatori, sia per lo spirito che sin dal red carpet lo ha accompagnato; proprio riferendosi al venerabile tappeto ha iniziato a fare ironia, dicendo che qualcuno, poco prima, quasi con un po’ d’orrore, l’avrebbe redarguito per aver indossato un giacchino rosso, proprio come il carpet, onta al rito del tappeto. Così ha preso il “la” la leggera chiacchierata tra lo showman e il direttore della Festa, Antonio Monda, anche lui “vittima” di Fiorello, che ama fargli il verso sulla risata e la parlata, calcando la somiglianza con quelle di Jerry Lewis. L’incontro poi s’è addentrato nel cinema, dapprima mostrando e commentando cinque film che Fiorello ha indicato come suoi prediletti, anche se pure a questo passaggio ha dissacrato la questione, dicendo che avrebbe detto “i primi cinque” che gli sono sovvenuti alla mente.
Sul grande schermo spezzoni, dunque, di cinque grandi titoli, commentati da lui, a partire dall’infanzia in Sicilia: Maciste e il gladiatore di Sparta (Mario Caiano, 1964): “c’era un cinema a Riposto, accanto alla caserma di mio padre. Si poteva fare, all’epoca, di lasciare un bambino di 5 anni da solo al cinema e così faceva mio padre: ero innamorato dei film epici, perché per un bambino era tutto vero”. Di E Dio disse a Caino (Antonio Margheriti, 1970), dice: “qui la colonna sonora la fa lui (Klaus Kinsky) cadendo: la sonorizzazione io la adoravo!”. E ancora, Cinque dita di violenza (Chang-hwa Jeong, 1972): “è stato il primo film assoluto di arti marziali arrivato in Italia: era vietato ai minori di 14 ma in Sicilia… s’entrava. Lì scoprimmo che si poteva menarsi in maniera organizzata!”. E ancora, è stato il momento de La febbre del sabato sera (John Badham, 1977): “ per chiunque sia nato negli anni miei, avevo 17 anni, fu il primo filmone evento: c’era la fila lunghissima fuori dal cinema, da cui molti non uscivano proprio per più spettacoli di fila! Io rimasi abbagliato dal modo di camminare: per via Principe Umberto di Augusta camminavo così, conoscevo tutte le coreografie”.
“Fuga di mezzanotte di Parker mi colpì particolarmente. Un’ansia incredibile. Ricordo in sala l’applauso finale per la liberazione”. E infine, Incontri ravvicinati del terzo tipo (Steven Spielberg, 1977): “Il primo film realistico rispetto agli eventi del futuro”. Ma Fiorello i film li ha anche interpretati, come ha ribadito, ma solo quando nella parte di se stesso, l’unica di cui sia capace: “quando mi offrono ruoli in cui non devo recitare, ma fare me stesso, accetto, perché non recito”. Così, in una carrellata di tre titoli, ha raccontato la sua storia con il grande schermo. Per Cartoni animati (1998) dei fratelli Citti: “Girammo tutto a Fiumicino. Un aereo ogni 7 secondi. Professionisti eravamo io, i Citti, Elide Melli ora produttrice, poi tutte persone prese per strada: al montaggio è stato ridoppiato quasi tutto, ma la particolarità è che 7/8 personaggi parlano con la mia voce, perché non sapevano più dove recuperarli, avendoli presi dalla strada, così li ho doppiati tutti con voci diverse. I Citti erano poesia vera, quasi surreale”.
Poi, due film internazionali: Il talento di Mr.Ripley (1999) di Minghella, che Fiorello ricorda così: “Fui scelto mentre partecipavo ad un premio, proprio per il film dei Citti: la sera andammo in un locale e come succede sempre venni coinvolto a cantare Tu vuò fa’ l’americano. Mentre canto vedo uno che applaude, lo coinvolgo. Poi mi siedo e lui s’avvicina e mi chiede di parlare: mi propone di fare un film. Io: che film hai fatto? Lui: non so se hai visto Il paziente inglese… Minghella ha scritto la scena per me, ripetendo quella della sera in quel locale. Poi ricordo una scena tagliata, ma anche l’orgoglio di farla: era a nuoto, lontanissima la barca da raggiungere, una fatica fortissima; dovevo solo salutare, salire a bordo e fare lo splendido, come se non fossi stanco. Poi Minghella disse Stoooop! Quella volta ho rischiato davvero l’infarto e l’hanno tagliata! Candidato il film all’Oscar, fui invitato: ogni festa pre Oscar io cantavo Tu vuò fa’ l’americano! Anthony era una persona straordinaria”. Infine, fu Passione (2010) di Turturro: “venne in radio a fare promozione, mi vide, e quando fece il film di offrì di partecipare cantando Carosone. È coltissimo di cultura napoletana”.
Tra ironia e stretta attualità, Fiorello accenna anche a Weinstein, dopo le esternazioni dei giorni scorsi in cui lo showman ha dichiarato di essere stato anche lui vittima del produttore: “ho avuto rapporti con lui, per il film Nine. Era agosto, ero in vacanza. Leggo il copione, non c’ero nel copione. Poi capisco essere: ‘Un elegante cantante italiano canta’, ero scenografia. Declino. Era pigrizia, avrei potuto farlo, ma Ferragosto incombeva. Questo Weinstein, abituato a sentirsi dire sì, mi scrive una lettera e mi minaccia che non avrei mai lavorato più in America”. Per Fiorello fu solo un sollievo, per lui volare significa stordirsi di fortissimi tranquillanti.
Durante l’incontro, pervaso di simpatia e umorismo, ha stuzzicato con garbo la Mostra del Cinema di Venezia: essendo ora ospite di questo festival, Fiorello ha voluto a suo modo celebrare il tempo del cinema, quello della Laguna appunto, ma ovviamente a suo modo, ironizzando sulla pesantezza dei film orientali con nomi di registi impronunciabili e titoli poetici quanto assurdi che spesso vengono insigniti dei premi più prestigiosi, ma la battuta principale l’ha riservata al direttore. Quando Monda gli ha suggerito il nome, ha risposto: “Barbera? Sì, certo, quello che faceva i film con Hanna”.
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