Una favola nera che parla di innocenza perduta, Fiore gemello di Laura Luchetti, presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival dove ha ricevuto la menzione speciale del Premio FIPRESCI, e in concorso ad Alice nella città, in sala il 6 giugno con Fandango. Il film, che ha partecipato anche al BFI London Film Festival e al Busan International Film Festival, racconta la storia di una relazione impossibile tra due adolescenti provati dalla vita, un immigrato e la figlia di un trafficante di migranti, che diventa poi un rapporto indispensabile per riacquistare la possibilità di un futuro. Lui, Basim, è un clandestino che proviene dalla Costa d’Avorio, parla una lingua incomprensibile, con pochissime parole d’italiano. Ha sogni da adolescente, vorrebbe fare il calciatore o lavorare, ma si scontra con una società che non l’accoglie e lo avvicina al mondo della prostituzione. Lei, Anna, scappa da un episodio violento che l’ha traumatizzata e che le ha fatto perdere la voce, perseguitata e inseguita da Manfredi, il trafficante di migranti per cui suo padre lavorava, ossessionato dalla sua bellezza. L’uno corre verso il futuro, l’altra scappa dal suo passato. Un’amicizia disperata che diventa amore. Insieme trovano la forza per camminare avanti, senza più guardarsi alle spalle, riconquistando a caro prezzo parte dell’innocenza perduta.
“Mi sono ispirata alle tante storie lette di minorenni che arrivano nel nostro Paese e che poi scompaiono – racconta la regista – Sono tantissimi, e se ne sa davvero poco. Mi piaceva pensare a un incontro fatale tra due esseri che appartengono a un mondo violento. Un incontro impossibile, che diventa poi impossibile da rompere”. Una bellezza nascosta, che è anche quella raccontata dal titolo, il fiore gemello che nasce unito e che la protagonista vorrebbe dividere, ma di cui le viene insegnato rarità e bellezza. “È un fiore immaginario che vuole rappresentare che quello che sembra una deformità in natura può celare una bellezza. Non sempre le cose che non appaiono perfette a prima vista non sono poi meravigliose, come il rapporto tra i due ragazzi”.
Il film tocca anche il tema dell’immigrazione e il problema dei minori non accompagnati che giungono in Italia, una questione di grande attualità politica. “Come regista la mia opinione è una speranza, racconto di due anime simili che, se pur distanti, creano un sentimento speciale. Questo è ciò che mi auspico, che le differenze di lingua e di storie non abbiano più senso e che, nonostante le diversità, un rapporto sia possibile”.
Bravi i due giovani protagonisti, Anastasyia Bogach ma soprattutto Kallil Kone, che con il personaggio che interpreta condivide parte del percorso di vita e di orrori che possiamo solo immaginare: sceso da un barcone proveniente dalla Libia pochi mesi prima dell’inizio delle riprese, fuggito a piedi dalla Costa d’Avorio era arrivato fino alle coste del Mediterraneo, da dove si era imbarcato per l’Italia a bordo di un gommone. “È la mia storia – dice – la mia vita è così, mi è successo. Stare dentro questo personaggio mi ha dato molte emozioni e tanto amore. La scena più difficile? Quella in cui ero nella vasca da bagno nudo e dovevo guardare negli occhi Anna”.
Sullo sfondo del viaggio dei protagonisti i paesaggi ruvidi e ammalianti della Sardegna, luogo dell’anima rappresentativo di un sentimento universale. “La Sardegna ha un fascino duro – sottolinea la regista – è come una donna bellissima che non fa niente per farsi piacere, ma che va conquistata. Quando lo fai, ti accorgi che cela uno splendore smisurato. Giocare con questo paesaggio così forte ha dato al film quello spirito che non avrei potuto trovare in nessun altro posto. Poiché, poi, i ragazzi parlano poco, abbiamo fatto un lavoro certosino con i suoni di fondo che ho voluto diventassero la voce dell’isola”.
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