Finalmente il documentario ruggisce

Gianfranco Rosi riporta il Leone d’oro in Italia quindici anni dopo. La Sala Grande è tutta per lui, tra applausi e I-phone. E l'82enne Elena Cotta è la migliore attrice


VENEZIA – “Mai e poi mai mi sarei aspettato un premio per il mio documentario, mi sembrava già un enorme risultato essere in concorso. Ringrazio Bertolucci e il direttore del festival Alberto Barbera che ha avuto fiducia in questo film e ha rotto una breccia: finalmente il documentario si confronta con la finzione, il documentario è cinema”. È sincero lo stupore di Gianfranco Rosi, che riporta il Leone d’oro in Italia quindici anni dopo (l’ultima volta lo vinse Gianni Amelio con Così ridevano nel ’98) e lo fa con un documentario, replicando l’impresa riuscita finora solo a Michael Moore con Fahrenheit 9/11 al Festival di Cannes. La Sala Grande è tutta per lui, tra applausi e I-phone in cerca di uno scatto memorabile. Un Leone che arriva cinquant’anni dopo il Leone a un altro Rosi, Francesco, che lo vinse per Le mani sulla città. Ed è un’altra città, Roma, sacra e profana, in quello che è stato definito un controcanto a La grande bellezza. Sacro GRA ha messo d’accordo, anche se non all’unanimità, la giuria guidata da Bernardo Bertolucci, “questo è un film francescano”, ha detto il maestro. E lo è davvero, per la purezza con cui racconta i suoi personaggi, nobili e plebei, tristi e divertenti, ma tutti umanissimi, scovati in tre anni di lavoro silenzioso e costante lungo l’autostrada urbana che circonda la Capitale. “Personaggi che in qualche caso, magari, neanche sanno di essere nel film”, come dice Rosi. Che manda un pensiero alla ex moglie: “E’ stata lei a costringermi a fare questo lavoro, perché io volevo partire, andarmene. Ed è stato grazie al film, grazie al Raccordo anulare, che ho cominciato ad amare Roma”.

Grande emozione anche per la Coppa Volpi consegnata nelle mani di Elena Cotta, una sapiente attrice di teatro che in Via Castellana Bandiera è quasi al suo esordio al cinema. 82 anni e un ruolo difficile, quello dell’albanese Samira, donna caparbia e indurita dal dolore per la perdita di una figlia. Un ruolo carico di violenza muta. Elena ha dedicato la Coppa Volpi al marito Carlo, con cui ha festeggiato quest’anno le nozze di diamante. E ha ringraziato, oltre alla regista palermitana, produttori e distributori (il film uscirà il 19 settembre con Istituto Luce Cinecittà).

 

Per il cinema italiano è stata una serata memorabile e qualche favorito della vigilia è rimasto a bocca asciutta. Philippe Garrel, per esempio. Che sperava in un premio importante (magari una Coppa Volpi al figlio Louis) per La jalousie. Si vociferava che avesse buone chance, anche perché Garrel figlio è stato interprete di The Dreamers e con Garrel padre il cineasta parmense condivide molte cose, a partire dall’amore per la Nouvelle Vague. E invece il regista francese è rimasto a bocca asciutta. Come pure il canadese Xavier Dolan di Tom à la ferme, altro titolo che doveva “per forza”, secondo molti festivalieri, piacere al presidente. Ma Bertolucci, che voleva essere sorpreso, ha finito per proprio sorprendere. 

Fino all’ultimo si erano rincorse le voci, mai un verdetto è stato così incerto. Tsai Ming-liang sembrava ad alcuni il candidato ideale per il Leone d’oro, già vinto nel ’94 con Vive l’amour. Previsione mancata di poco: Cani randagi ha avuto il Gran premio della giuria e il regista malese-taiwanese, con un’apprezzabile dose di ironia, ha parlato della lentezza estenuante della sua opera. “Il mio film è molto difficile, molto lento, sempre più lento. Ringrazio la giuria che si è fermata a guardarlo e il pubblico che ha rallentato il passo per vederlo. La mia vita non è molto lunga e queste persone mi accompagnano nel mio cammino”, ha concluso non senza amarezza, tanto da far temere per la sua salute.

Doppio premio a Miss Violence del greco Alexandros Avranas, un film dove un’intera famiglia è prigioniera di un patriarca mostruoso: Leone d’argento per la migliore regia e Coppa Volpi all’interprete Themis Panou, orco dai modi melliflui che porta le figlie al mare o a comprare il gelato dopo averle vendute agli amici stupratori. Premio Speciale della giuria al regista tedesco Philip Gröning per Die Frau des Polizisten, altro film agghiacciante (e stilisticamente impeccabile) sul femminicidio in questo concorso pieno di soprusi familiari: “un premio che va al coraggio di chi osa denunciare la violenza coniugale e che darà maggior visibilità a questa emergenza”, ha detto il regista. Infine, massima sorpresa, il beniamino del festival, Philomena di Stephen Frears, in testa a tutte le classifiche di critica e pubblico, ha ottenuto soltanto un premio per la migliore sceneggiatura andato a Steve Coogan e Jeff Pope, che sono al Festival di Toronto e non sono neppure tornati in Europa. Dargli un Leone d’oro, o magari una Coppa Volpi alla straordinaria interprete Judi Dench, dev’essere sembrato un po’ banale alla giuria. Ma scommettiamo che il film si rifarà agli Oscar.

Da segnalare anche il Premio Marcello Mastroianni per il miglior attore emergente al giovane Tye Sheridan, il figlio maltrattato da un padre alcolista e senza cuore di Joe di David Gordon Green che trova in Nicolas Cage un genitore sostituto. Premio Luigi De Laurentiis – Leone del Futuro di nuovo, per il terzo anno consecutivo, a un film della Settimana della critica: White Shadow di Noaz Deshe, girato in Tanzania, uno dei paesi africani dove sta prendendo piede l’uso di vendere parti del corpo di bambini neri albini considerati dagli stregoni infallibili portafortuna. Il film è prodotto dagli italiani Ginevra Elkann e Francesco Melzi d’Eril e tra i coproduttori figura anche la madrina della 70esima Mostra Eva Riccobono. Premi anche per Still life di Uberto Pasolini (miglior regia a Orizzonti), uno dei film più amati del festival, e per Eastern boys di Robin Campillo (miglior film sempre di Orizzonti), premio dedicato a tutti gli immigrati clandestini e a mia figlia che “ha due madri e due padri, checchè ne dica la legge”. 

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07 Settembre 2013

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