È il primo film africano che sale agli onori della sezione Cannes Classics, dove di solito sono di casa Rossellini, John Ford e Jean Renoir. Stiamo parlando di Harvest: 3000 years, girato nel 1974 con mezzi di fortuna dal cineasta etiope Haile Gerima. Vincitore di un Pardo d’argento a Locarno, a lungo sparito dalla circolazione e mai proiettato in patria, restaurato ora dalla Cineteca di Bologna e “adottato” dal cinefilo Martin Scorsese. La Cineteca sta lavorando al recupero del cinema del Sud del mondo e ha già riportato in circolazione Come back Africa di Lionel Rogosin e Appunti per un’Orestiade africana di Pier Paolo Pasolini. Scorsese, che ha da poco donato una copia dei propri archivi alla Cineteca di Bologna, è un accanito sostenitore del recupero della storia del cinema in generale e del cinema meno frequentato in particolare, tanto che sta cercando di formare un pool di registi di tutto il mondo (per l’Italia potrebbe esserci Ermanno Olmi) per convincere gli sponsor a finanziare questo genere di operazioni culturali sempre più necessarie. A proposito di Harvest ha detto: “E’ la storia di un intero popolo e del suo desiderio collettivo di giustizia e speranza. È un film epico non nella realizzazione ma per la sua portata emotiva e politica”. Il colonialismo, del resto, è d’attualità stringente qui al festival dopo che l’algerino Rachid Bouchareb con Indigenes ha rievocato l’eroismo sommerso delle truppe nordafricane impiegate nella seconda guerra mondiale candidandosi a un premio importante che potrebbe suonare come un “risarcimento”.
Gerima, nato nel 1946 a Gondar, girò Harvest, la storia delle lotte contro i latifondisti di una povera famiglia di contadini, in 16 mm durante le vacanze estive e lo montò di notte mentre di giorno lavorava al film di diploma all’Università di Los Angeles. In Etiopia non riuscì mai a portarlo, prima per motivi politici, in seguito, dopo la fine della giunta militare nel ’91, per complesse questioni tecniche ed economiche. Il film tuttavia ha continuato a vivere nelle università e in alcuni festival, mentre il suo autore proseguiva la sua carriera di cineasta (Sankofa è del ’93) e di professore in una facoltà americana di cinema. “Vivo a Washington D.C. e quando la Cineteca di Bologna mi ha contattato per questo restauro, ero abbastanza sorpreso e ho pensato: perché piuttosto non mi avete aiutato a finanziare il mio documentario sulla vittoria di Adua? Poi ha prevalso la gratitudine e il piacere di vedere un film africano sotto i riflettori del festival di Cannes. Ed eccomi qui, con i miei sei figli e mia moglie a fare il tifo da casa”.
Del passato dell’Etiopia, colonia dal 1936 al 1941, gli italiani non amano parlare ed è difficile trovare finanziamenti in questo senso, ci ha raccontato. Così anche il nuovo film di Gerima, Teza (parola che amarico significa rugiada) sarà una coproduzione con Francia e Germania. “Parla di quegli intellettuali africani che studiano in Europa o negli Stati Uniti e che finiscono per essere sospesi tra due mondi, stranieri sia in patria, dove non sono più compresi, sia in Occidente, dove restano comunque africani”. Questa loro alienazione è il punto di partenza di un racconto che inizia sulla rive del Nilo, nel villaggio di Gorgora, ai piedi di una grande montagna un tempo intitolata a Benito Mussolini, e prosegue in Germania, per poi tornare al villaggio dove il protagonista è ormai uno spaesato. Un contributo italiano però il film l’avrà, Gerima ha infatti chiamato il direttore della fotografia di Padre padrone, Mario Masini.
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