Tocca a Lidia Ravera e Giovanna Marinelli, assessori alla Cultura rispettivamente di Regione e Comune, dare in qualche modo la linea al Festival internazionale di Roma, per una nona edizione che torna alle origini e anzi si sente più Festa che mai. Niente più giuria internazionale, ma il parere del pubblico che potrà votare tramite app su iPhone, iPod touch, iPad e Smartphone Android per ciascuna delle cinque sezioni: Cinema d’oggi, Mondo genere, Gala, Prospettive Italia (con due premi, alla Fiction e al Documentario). “Una rivoluzione del festival classico – come la definisce Lidia Ravera – che fa coincidere botteghino e festival”. Mentre Giovanna Marinelli parla di “edizione di transizione in cui torna l’idea della festa”. E in molti sono convinti che si stia andando verso la fusione con il Festival della Fiction, come ribadito dal governatore Nicola Zingaretti che nel catalogo parla di “percorso di contaminazione con i linguaggi della televisione e in particolare delle serie televisive che dovrà portare in futuro a una maggiore integrazione con il Roma Fiction Fest, non solo per armonizzare le risorse ma anche per dare un’identità ancor più unica e riconoscibile al festival”.
Ma la nona edizione (16-25 ottobre) è alle porte. Marco Müller, in scadenza il 31 dicembre, presenta la sua selezione che, come sottolinea più volte, è stata fatta in tre mesi, perché “le conferme finanziarie sono arrivate a metà giugno”. Su questo è Lamberto Mancini a dare i numeri: nel 2014 il budget è di 8,6 mln euro per la Fondazione Cinema per Roma (erano 11 nel 2013) mentre il bilancio del festival è di 5/6 mln € rispetto ai 7 mln € dello scorso anno con un 50% di finanziamento privato che arriva attraverso il sostegno di 38 aziende. Infine c’è il MiBACT che sta per entrare anche nella Fondazione Cinema per Roma.
Il direttore sottolinea la presenza di personaggi come Joe Dante, che ha accettato di presentare i film di Bava e Freda della retrospettiva “Danze macabre”, di Clive Owen, che verrà per The Knick di Steven Soderbergh, 10 episodi da 60’, Rooney Mara per Trash di Stephen Daldry, Kevin Costner, Wim Wenders e Takashi Miike, Walter Salles e Jia Zhangke, impegnati in un dialogo pubblico. Ma è evidente lo snellimento del programma, con 51 lungometraggi tra cui 24 prime mondiali. A Müller piace il voto del pubblico, che secondo lui potrebbe sostituire le indagini di mercato, definendo i gusti dei diversi bacini di utenza, magari quando il festival sarà diffuso anche nelle periferie. Per ora le location, oltre all’Auditorium di Renzo Piano, sono il Maxxi, il Barberini (anche per il mercato), la Casa del Cinema per i convegni e le biblioteche per il “rimbalzo post festival”, oltre alla sala virtuale in collaborazione con Mediaset Premium.
Inevitabile la domanda sull’opportunità di una riflessione più generale sul sistema festival in Italia che fa i conti con la crisi economica. “Ero direttore della Mostra quando Veltroni venne a presentarmi il progetto della Festa del cinema, nove anni fa, ricordo che usò lo slogan maoista ‘che 100 fiori sboccino’. Dal 2006 in avanti Roma non ha indebolito Venezia”. Interviene Andrea Occhipinti, presidente distributori Anica, “Noi produttori e distributori teniamo tantissimo alla salute di Venezia e di Roma, ma c’è un problema di risorse. Vediamo Roma con una vocazione popolare più adatta al mercato e quindi giudichiamo positivamente questo cambiamento con l’eliminazione della giuria, quindi con un festival che non scimmiotti Venezia”. Ancora Müller: “E’ importante la specificità ed è fondamentale scegliere le date più opportune. Venezia, Pordenone, Roma e Torino, i nostri quattro festival più importanti, si svolgono tutti nell’arco di meno di tre mesi”.
Non illustra il programma nel dettaglio, il più che mai pacato Marco Müller. Ma rivendica la scelta di aprire e chiudere con due commedie. “Un genere che ha fatto grande il nostro cinema: perché non scegliere la commedia garbata di Genovese Soap opera e lo spirito ribaldo del cinema comico di Ficarra e Picone con Andiamo a quel paese? Ma il 16 ottobre ci sarà anche un film tedesco sui moti xenofobi e un altro che ricorda l’anniversario della deportazione degli ebrei romani dal ghetto”. Come a dire della ricchezza e varietà della proposta.
Imponente la presenza italiana, con 16 lungometraggi e tre opere nel concorso principale. “Si tratta di tre opere diverse tra loro. Il ritorno prepotente del cinema di genere con Piva, la presenza di elementi di genere in un progetto di frontiera come è quello di Cladio Noce e un grande film rosselliniano con Biagio di Pasquale Scimeca. Ma troviamo ancora commedia con il film che completa la trilogia di Gianni Di Gregorio Buoni a nulla, c’è il ritorno di Marco Risi con Tre tocchi. Poi c’è il documentario di Sarno sul Liceo Giulio Cesare, che ho fatto fatica a selezionare perché io andavo al Tasso. Elda Ferri e Luigi Musini hanno prodotto l’opera prima Last Summer di Leonardo Guerra Seragnoli, scritto da Banana Yoshimoto”. E, a proposito di opere prime, queste saranno valutate dalla giuria del Premio Taodue, presieduta da Jonathan Nossiter e composta da Francesca Calvelli, Cristiana Capotondi, Valerio Mastandrea, Sydney Sibilia.
E per il dopo Müller? “Dipende da quello che decideranno i politici e i soci fondatori”, risponde il presidente Paolo Ferrari.
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