“Un film sull’amore, sul tempo che passa e anche sulla morte, insomma sulle turbolenze che per forza, prima o poi, capitano nella vita e che ci spingono ad allacciare le cinture di sicurezza. A 55 anni mi rimangono l’amore e l’amicizia… e la solidarietà tra le persone”. Ferzan Ozpetek torna a due anni da Magnifica presenza con un dramedy, Allacciate le cinture, dal 6 marzo in 350 sale con 01. “Sei anni fa una mia amica che non stava bene era a cena a casa mia, c’era anche Stefania Sandrelli che avevo invitato per farle piacere. Con le cure era cambiata molto fisicamente e io le chiesi, in modo un po’ maldestro, se dormiva ancora col marito. ‘Sì, mi rispose lei, e ci prova anche, agli uomini non fa schifo proprio niente’. Questo episodio mi ha commosso e mi fatto riflettere sul fatto che quando un amore supera la fisicità e accetta il cambiamento della persona che ti sta accanto, quando riesci ancora a desiderarla nonostante tutto, allora è vero amore”. Così la protagonista Elena (Kasia Smutniak), mentre affronta un cancro al seno e le cure devastanti per contrastarlo, ritrova la complicità, anche erotica, col marito Antonio (Francesco Arca) che dopo una grande passione scoppiata nonostante le enormi differenze tra i due, si era spenta. La coppia fa l’amore in ospedale: “Non è una scena inventata, ci hanno raccontato che spesso i pazienti vengono lasciati in pace per un’ora o due insieme al marito o alla moglie, proprio per fare l’amore o almeno per tentare”.
Quando si conoscono, 13 anni prima, Elena, determinata e orgogliosa, fa la cameriera in un bar del centro di Lecce, il suo miglior amico (Filippo Scicchitano, in un ruolo molto diverso dal solito) è gay, lei è chiaramente di sinistra, mentre Antonio fa il meccanico, è razzista e anche omofobo. Inoltre entrambi sono fidanzati (con Carolina Crescentini lui, con Francesco Scianna lei). Ma non importa. L’attrazione è irresistibile. Li ritroviamo anni dopo sposati e con due figli. Anche se distanti e litigiosi.
Spiega Gianni Romoli, tornato a scrivere con Ferzan dopo una lunga pausa (insieme hanno fatto cinque film, da Harem Suaré a Saturno contro). “Allacciate le cinture è una summa artistica ed emotiva di tutto quello che abbiamo fatto insieme. C’è voluto più tempo del solito, 6/7 mesi, per scrivere questa storia in cui manca un plot forte e dove si seguono emozioni piuttosto che fatti”. Una storia che Kasia Smutniak riassume così: “Racconta due momenti della vita in cui tutto viene ridimensionato, l’amore e la morte, due cose che ti riportano a te stesso, che danno un senso al tempo. Sono momenti in cui riesci a vederti per quello che sei e mi ha colpito il tempismo perfetto con cui Ferzan mi ha proposto questa storia”.
“C’è sempre un po’ di paura a parlare della malattia – aggiunge Ozpetek – perché la gente, non solo in Italia ma anche in Turchia, vuole solo ridere. Però qui si piange e si ride insieme”. Così Elena condivide la camera d’ospedale con Egle (Paola Minaccioni), una single che riesce a ironizzare persino sulla morte. Le due attrici hanno fatto anche un grande lavoro sul corpo, che mostra i segni della chemioterapia, col dimagrimento e i capelli caduti. “Ma anche tutti gli altri interpreti – dice ancora il regista – perché la storia si svolge in due momenti, nel 2000 e 13 anni dopo, e tutti sono cambiati, per esempio Francesco Arca è dovuto ingrassare parecchi chili”. L’ex tronista è stato scelto dopo una via crucis di provini, come ammette lui stesso. E Ozpetek aggiunge: “Su twitter mi hanno quasi insultato per averlo scelto, ma quando l’ho visto mi sono reso conto subito che Francesco aveva negli occhi Antonio e l’ho preferito ad attori importanti”. E poi ci sono tanti personaggi di contorno in una storia molto corale: la mamma di Elena, Carla Signoris, e la “zia” Elena Sofia Ricci, che si rivelano una strana coppia svitata con momenti surreali e molte battute. O la parrucchiera napoletana amante di Antonio (Luisa Ranieri), pronta a regalare una parrucca alla moglie malata. “Molte frasi e molte situazioni vengono da esperienze vissute”, svela ancora Ferzan. Tornato a girare a Lecce, dopo Mine vaganti, anche per la piacevolezza della città salentina, che considera la sua terza patria dopo Istanbul e Roma, oltre che per il prezioso contributo che l’Apulia Film Commission ha dato al film, prodotto da Tilde Corsi e Gianni Romoli con Rai Cinema.
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