Molti lo conoscono per Il Quarto Stato, il celebre capolavoro dei primi del ‘900, diventato in seguito un’icona incontrastata dell’operaismo italiano e non solo. Ma le altre opere e anche la vita di quel grande poeta della luce che fu Giuseppe Pellizza da Volpedo, continuano a rimanere per buona parte poco note al grande pubblico. A colmare questa lacuna, arriva ora Pellizza pittore da Volpedo, un interessante e rigoroso documentario di Francesco Fei: prodotto da Apnea Film, è stato presentato è alla 19ma Festa del cinema di Roma nella sezione Freestyle.
Dopo Dentro Caravaggio e Segantini Ritorno alla Natura, Francesco Fei torna dietro alla macchina da presa per raccontare un altro grande pittore italiano. Lo fa con un affresco in cui si alternano diversi moduli espressivi. Il racconto principale è affidato a Fabrizio Bentivoglio, che ci guida nelle strette vie di Volpedo. Raggiunto lo studio che fu dell’artista, l’attore rilegge le carte di Pellizza per farne rivivere i pensieri. Poi ci sono le interviste a una serie di autorevoli personalità nel campo dell’arte (Aurora Scotti, Pierluigi Pernigotti, Carolyn Christov, Bakargiev, Paola Zatti, Jacopo Veneziani e anche un pronipote). A questi spetta il compito di illustrare i dettagli della vita ma anche il percorso artistico e le opere più importanti del pittore. In mezzo, Fei inserisce dei brevi spezzoni di fiction in bianco e nero che, trattati come fossero più o meo coevi a Pellizza, ne evocano la presenza attraverso un attore.
Sullo sfondo – del documentario, di ogni quadro e persino nel nome di Pellizza (aggiunta che è un omaggio a un’usanza rinascimentale) – c’è sempre Volpedo. Si tratta di un piccolo paese, immerso nel silenzio della pianura piemontese, e incastonato, insieme al suo campanile di mattoni rossi, tra il giallo dei campi di grano e il verde delle morbide colline coperte dai vigneti. E’ da qui che Giuseppe Pellizza partirà per girovagare nell’Italia di fine ‘800 bruciando, una dopo l’altra, tutte le tappe della propria formazione artistica: l’accademia milanese di Brera, dove arriva a soli 15 anni, Roma, la Firenze di Fattori, la Bergamo di Tallone. Ma il percorso sarà circolare, perché l’approdo di questo viaggio sarà il suo punto di partenza. Anche da un punto di vista pittorico, Pellizza rimarrà sempre legato al luogo di nascita: l’intensità dei colori e della luce che lo renderanno uno dei maestri del divisionismo, saranno quelli osservati attorno a sé fin da bambino. Come alla realtà sociale della provincia piemontese appartengono le umili figure che popolano i quadri di Pellizza. Anche quando, deluso dall’insuccesso del suo quadro più famoso, il pittore si rifugerà nel simbolismo, la natura ritratta sarà quella di Volpedo.
La suggestiva regia, anch’essa pittorica, il ritmo piano e meditato, lo spessore scientifico e la possibilità di esplorare le opere meno conosciute di Giuseppe Pellizza, fanno del documentario di Fei un’opera riuscita. E anche necessaria: arrivato ai titoli di coda lo spettatore prende atto che non è possibile rinchiudere lo straordinario valore artistico di Pellizza nel solo Quarto Stato.
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