Fabrice Luchini, sindaco di Lione, guardando a Rohmer

Con Alice e il sindaco, presentato alla 51esima Quinzaine e in sala dal 6 febbraio con Movies Inspired/Bim, il regista Nicolas Pariser sembra giocare con L'albero, il sindaco e la mediateca


Nel corso della sua storia, il cinema francese s’è occupato poco di sindaci e amministratori locali e quando l’ha fatto era per satira. Ma poiché “Un sindaco è un pioniere!”, nel 1993, Éric Rohmer, con l’inarrivabile levità del suo tocco di regista, ha riportato la funzione sotto i riflettori, con L’albero, il sindaco e la mediateca, dove – tra i protagonisti – c’era un giovane Fabrice Luchini, insegnante dal cuore socialista nella Francia rurale (qui il sindaco, Julien Dechaumes, un socialista puro e duro, era interpretato da Pascal Greggory).

Venticinque anni dopo, con Alice e il sindaco, presentato alla 51esima Quinzaine des Réalisateurs e in sala dal 6 febbraio con Movies Inspired/Bim, Nicolas Pariser sembra giocare con il film di Rohmer. Qui, Luchini – un’icona del cinema francese, protagonista di drammi e commedie, pluripremiato, capace di rendere indimenticabili i suoi personaggi – interpreta il primo cittadino di Lione, Paul Théraneau. Il sindaco – socialista, figura di sinistra e possibile contendente per le elezioni presidenziali – è stanco, distrutto da trent’anni di politica attiva. A forza di prendere decisioni tutto il giorno, firmando pile di documenti e presiedendo cerimonie commemorative, non riesce più a pensare. Tuttavia, è suo compito avere idee, lui, il pubblicitario convertito alla politica per “vocazione”. Per superare l’empasse, decide di assumere una giovane e brillante filosofa destinata a distruggere tutte le sue certezze e a regalargli nuove prospettive:

“Preferisco usare la tradizione filosofica piuttosto che un allenatore – spiega durante il loro primo incontro – Il tuo ruolo è di sviluppare delle idee, stimolare intellettualmente il sindaco”, le ribadiscono quelli dello staff del primo cittadino.  È così che Alice (Anaïs Demoustier), professoressa a Oxford, si ritrova catapultata nella città che ha lasciato anni prima, in un mondo i cui usi e costumi le sono totalmente sconosciuti e che dovrà scoprire alla velocità della luce. Gli scambi di idee tra la filosofa (la sua prima nota è ironicamente intitolata “un po’di modestia”) e il sindaco diventano intensi ed esplicano con semplicità e precisione cosa può fare oggigiorno la politica, cosa non può fare e cosa non può più fare, dipingendo un quadro chiaro del lavoro nel Comune di una grande città, dai team di comunicazione ai consigli comunali, dalle commemorazioni e inaugurazioni agli eventi culturali, dalle riunioni con brain storming alla redazione dei discorsi, fino ai grandi progetti intrisi di concetti di marketing supportati da molteplici esperti. 

Tessendo un’analisi molto fine e accattivante di un soggetto di interesse pubblico molto difficile da trasporre al cinema, soprattutto se si rifiuta di intrecciare la trama con colpi di scena narrativi, Nicolas Pariser riesce a dare forma – a modo suo, con tanti (e prodondi) dialoghi – alle differenti sfaccettature di uno stato di crisi democratica. Per dare spazio a quel pensiero utile che il cinema può infondere sotto forma di commedia intelligente e rimarchevole, attraverso una riflessione sulla pigrizia della politica, i rischi del populismo, il ruolo della cultura e degli intellettuali nella società, la sfiducia nella democrazia. E celebrando il potere della parola, della scrittura e della lettura (Rousseau, Orwell, Illich…).

Il cinema ha poco interesse per le questioni della politica contemporanea.  A Pariser, invece, piace la politica e sa filmare chi la fa con un’attenzione che non diventa mai satira, come aveva già dimostrato nei suoi film precedenti: i cortometraggi Le jour où Segolène a gagné (la giornata di un militante socialista il giorno dell’elezione di Nicolas Sarkozy, 2008) e Agit Pop (commedia burlesca sulle ultime ore di un mensile culturale, presentato alla Semaine de la critique nel 2013), il mediometraggio La République (che gli è valso il premio Jean-Vigo nel 2010), Le grand jeu (2015, selezionato al festival di Locarno, dove ha vinto il premio Louis Delluc per l’opera prima), ispirato all’“affaire Tarnac” (dal nome del paese dove furono arrestati senza prove giudiziarie i membri di una comune di anarchici “sospettata” di aver sabotato alcune linee ferroviarie ad alta velocità nel novembre del 2008).

In fin dei conti: nel film di Rohmer L’albero, il sindaco e la mediateca Fabrice Luchini prometteva di non entrare mai in politica, in Alice e il sindaco, come se avesse cambiato idea e vita, è diventato sindaco di Lione che sta pensando di essere eletto presidente della Repubblica. E forse Alice, la sua nuova consigliera, è solo Zoe, cresciuta: la bambina che, all’età di 10 anni, ha sorpreso Julien Dechaumes per l’audacia delle sue opinioni.

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27 Gennaio 2020

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