PESARO – 1978, Isola di Cavallo: un ragazzo viene colpito dallo sparo di un fucile. 1981, Vermicino: un bimbo sparisce in un pozzo. 1992, Lecco: una giovane donna sbanda con la macchina e cade in coma irreversibile. 1996, San Giuseppe Jato: un adolescente viene giustiziato e sciolto nell’acido per vendetta. 2005, Ferrara: un diciottenne viene pestato dalla polizia. “Fatti in apparenza minori, che finiscono spesso per graffiare, come un pennello troppo duro, la coscienza di un paese”. Così Marco Mancassola parla dei racconti che compongono il suo libro Non saremo confusi per sempre, uno dei quali ha ispirato il nuovo film di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia. Proprio Grassadonia è a Pesaro per parlare dell’esordio, Salvo, il bel noir che ha trovato consacrazione alla Semaine de la Critique di Cannes e che è stato amato in tutto il mondo. Dell’opera seconda, ancora in fase di scrittura, non vorrebbe rivelare niente, ma poi si lascia sfuggire molti elementi in questa intervista con Cinecittà News.
Pesaro ripropone Salvo al suo pubblico come se fosse un’anteprima e chiama il suo autore a parlarne. Che impressione le fa?
Un’impressione strana, il nostro film è uscito nel 2013, è stato un progetto difficile da realizzare e da distribuire, arrivammo a Cannes senza avere ancora una distribuzione. Così l’abbiamo accompagnato sia in Italia e che nel mondo e abbiamo dedicato più di un anno a questo percorso. Ora ce lo siamo lasciato alle spalle, stiamo lavorando al nuovo film. L’invito di Pesaro, quindi, è stato piacevole ma anche strano perché Salvo fa parte del passato, ma magari può venire fuori qualcosa di nuovo dall’incontro con gli spettatori.
A che punto siete con la vostra opera seconda?
Siamo in fase di revisione del copione, con l’intenzione di girare nel 2017. Ci siamo guardati a lungo attorno per capire l’assetto produttivo, è inutile avere fretta, vogliamo rifletterci ancora, ma dopo l’estate cominceremo a fare piccole ricerche di location.
Ho letto che è una ghost story.
È una favola siciliana con un’importante componente nera. I protagonisti sono due ragazzini innamorati che riusciranno a coronare il loro sogno nel modo più imprevedibile e solo alla fine del film.
C’è un forte legame con Salvo oppure avete cercato, pur nella continuità, di staccarvi da quell’opera prima?
Il primo film era molto giocato su temi e su uno stile noir, avevamo raccontato una storia d’amore dove un uomo si perde per una donna; questa volta volevamo proprio una favola con dei bambini, che si portasse appresso un ambiente, dei paesaggi e delle situazioni che non ti aspetti in Sicilia, una Sicilia sognata, diversa, come un mondo dei Fratelli Grimm di foreste e orchi che a un certo punto collide con il piano di realtà di cui la regione è suo malgrado portatrice.
Viene alla mente un possibile parallelo con l’ultimo film di Matteo Garrone, anche lì c’è un Meridione in qualche modo fiabesco – spaventoso, orribile, però fiabesco.
Ne Il racconto dei racconti l’ispirazione viene da una straordinaria raccolta di favole che ci portano in un altro tempo, in altri luoghi e in altre atmosfere; la nostra in un certo senso è pure una favola di un altro tempo, ma di un tempo che ci è più prossimo, una ventina d’anni fa. Ci siamo ispirati a un racconto di Marco Mancassola, tratto da una bellissima raccolta che si chiama Non saremo confusi per sempre, edita da Einaudi. Ci è piaciuta molto l’intuizione alla base dell’intera raccolta perché Marco sceglie cinque episodi tragici della storia contemporanea italiana, episodi di cronaca contraddittori e irrisolti -come lo sono tanti della nostra storia – e innesta lì un’invenzione pur non tradendo la realtà di quanto accaduto. L’invenzione porta il protagonista e il lettore in un’altra dimensione e in un altro finale.
Qual è la rappresentazione della Sicilia che cercate?
Alcuni luoghi, come la Sicilia, la Campania, se tenti di inquadrarli in un mero registro naturalistico, mostrano la corda. O vai a fare una copia di Gomorra o l’intrattenimento meraviglioso alla Montalbano, ma queste cose ci interessano poco. Ci piaceva approcciarci ai temi e alle realtà che certi territori si portano appresso e provare a rielaborarli dentro generi diversi, inaspettati, che quindi forse possono portare a delle conclusioni inattese, senza tradire la nostra realtà di palermitani.
Anche per uscire dal luogo comune sulla Sicilia, che peraltro non è una cosa nuova, ne parlava già Sciascia.
Siccome continuano ad avere un pubblico, ci si continua a rotolare attorno a quegli stereotipi sempre allo stesso modo, ma questo a noi non interessa più. Ci preme raccontare il portato della nostra esperienza di vita palermitana e ci interroghiamo su come farlo emergere in forme diverse.
Rispetto all’opera prima è stato più facile stavolta mettere insieme la produzione?
Salvo è stato particolarmente difficile. Arrivammo a Cannes senza una distribuzione e non l’avremmo avuta senza i due premi, poi purtroppo il film uscì tardi, a fine giugno, quando faceva già caldo e quindi è restato al di sotto delle sue possibilità. Però grazie ai premi, alla vendita del film all’estero e ai risultati in Italia, non disprezzabili, è maturata la possibilità di fare un secondo film, cosa che in Italia non è scontata. Abbiamo voluto rilanciare il tipo di scommessa tentato con Salvo, con una storia complessa dal punto di vista drammaturgico e per la messinscena, pur sapendo che il budget sarà limitato.
Sarà una coproduzione?
sì, con Italia, Francia e Germania. I produttori italiani saranno Indigo e Cristaldi.
Farete un salto di qualità in positivo, pensate che questo possa condizionare alcune scelte artistiche, ad esempio il cast?
No, i protagonisti sono dei ragazzini e i bambini devi andarli a trovare. Poi ci sono dei ruoli minori, di contorno e qui non abbiamo nessuna preclusione, anche in Salvo c’è ad esempio Luigi Lo Cascio.
Ci saranno degli effetti speciali essendo una favola?
No, la sfida è portare le atmosfere di una favola popolata di orchi soltanto accentuando alcune caratteristiche dei luoghi, dei personaggi, delle situazioni, ma cercando di andare in sottrazione. La scommessa è tirare fuori le emozioni ma non giocando sugli effetti come ha potuto fare Garrone.
Molti nuovi autori lavorano in coppia – Botrugno e Coluccini, i Fratelli De Serio. È anche un modo per vincere la grande difficoltà che c’è a esordire?
Posso parlare del nostro percorso. Noi ci siamo conosciuti a Torino a una scuola di scrittura, io ero un insegnante e Antonio un giornalista, entrambi annoiati da quello che facevamo. Un docente della scuola ci ha proposto di andare a Roma e iscriverci al corso di formazione Rai per la fiction televisiva. Così abbiamo cominciato a lavorare insieme come sceneggiatori, il che era perfettamente naturale. Poi abbiamo pensato di metterci alla prova nella regia e ci è sembrato naturale farlo assieme.
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