Questa mattina una sparuta folla ha coperto a malapena le file di sedili della nuova Sala Fellini, inaugurata dal ministro Melandri. Ma, nonostante quelle che Pietro Notarianni nell’Intervista di Fellini chiama le “prevedibili imprevedibilità”, Ettore Scola è intervenuto al convegno “Le città di Fellini” con naturale generosità e presenza di spirito.
Il regista ha ricordato come Gilles Martinet, ambasciatore di Francia a Roma dal 1981 al 1985, nel libro Les Italiens (pubblicato nel 1990 dalla casa editrice Grasset), abbia soprannominato Federico Fellini l’italianissimo.
Poi, partendo da questa citazione, afferma che “nonostante sembrasse così distante dalla realtà, Fellini ha saputo comunque raccontare l’Italia”. Tanto che: “i giovani sanno riconoscerla meglio nei film di Fellini che in quella vissuta quotidianamente”. Insomma, pur distante dall’esperienza neorealista, il Maestro ha colto il senso della nostra Storia.
Gli esempi non mancano: dalla Roma antica di Satyricon, al 700 di Casanova, fino al periodo fascista di Amarcord.
Scola fa presente come: “la macchina del cinema neorealista, secondo Fellini, vedeva tutto, troppo. Stava stretta al grande regista, che aveva bisogno dello studio, più che della strada”.
E continua: “Nel teatro 5 di Cinecittà, Fellini può ricostruire tutto: l’infanzia, l’età adultà e la donna. Ovvero, il sesso. Fellini è un grande simulatore del sesso”. Queste, per Scola, le tre città di Fellini. Che conclude ricordando il finale di Roma: “Il regista esce dal Teatro 5 a va a girare la Roma vera. Ma che vero è? “. Un vero girato al buio, interrotto da uno sfuriare di carrozze improvvise e altre apparizioni.
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