VENEZIA – “Alla Mostra di Venezia non posso non pensare L’attimo fuggente, il film che mi ha regalato una carriera e mi ha cambiato la vita”. Esordisce così l’attore e regista Ethan Hawke nella masterclass che anticipa la cerimonia in cui celebrerà la carriera di Peter Weir, consegnandogli il Leone d’Oro alla carriera di Venezia 81. “Avevo solo 18 ed era il mio primo festival. – ricorda Hawke, facendo riferimento a quando L’attimo fuggente venne presentato alla 46ma Mostra del Cinema – Si sentiva che quel film era una specie di incantesimo. Peter Weir è uno dei pochi maestri che ho incontrato e sono stato davvero fortunato a lavorare con lui e ad assorbire la sua arte. Vederlo in azione in questo atto di immaginazione collettiva. In realtà la gioia della performance di un attore sta proprio nello scomparire: senti che stai scomparendo nel personaggio e diventi parte di quel sogno. E poi vedi che questo sogno viene vissuto da altre persone e questo ti dà una botta di adrenalina, che è come una droga”.
Tra i grandi mentori dell’inizio della sua carriera c’è anche Joe Dante, regista del suo primo film: Explorers, del 1985. “Quando sei giovane e ti parlando del valore dell’istruzione, non presti attenzione. A 18 anni credevo di sapere tutto, ora a 53 mi rendo conto di non sapere niente. Capisco solo ora di quanto sono stato fortunato ad avere due insegnanti come Peter Weir e Joe Dante, due registi così diversi. Peter vede l’universo in maniera quasi spirituale. Joe è pura gioia di vivere: ama ogni forma d’arte, qualsiasi cosa concepita dalla mente umana. Questi due modi di vedere la vita e il cinema sono stati fondamentali”.
Eppure il legame più duraturo è stato quello con Richard Linklater, con cui ha lavorato in ben nove occasioni. “Richard è stato il prima regista con cui ho lavorato che apparteneva alla mia generazione. È un amico. Lui non ragiona come le altre persone, non vuole avere successo e fare colpo sulle persone. Ama il cinema europeo e internazionale, e il modo in cui impatta sulle persone. Vuole contribuire a questo processo. Se vai a vedere Harry Potter o Star Wars, li ami alla follia. Finisce il film e dici che ti dispiace di non essere un mago o uno Jedi. Ma quando vedi un film di Linklater capisci che non serve camminare sull’acqua se puoi camminare sulla terra. La vita è davvero incredibile se non la si esagera e se accogli la magia che viviamo in ogni istante. È uno di quei registi che a 60 anni sta ancora fiorendo, realizzerà film eccezionali anche a 80 anni”.
Tra questi nove film, c’è anche Blue Moon, che deve ancora vedere la luce: “Blue Moon è un progetto che ho scoperto 12 anni fa. Una delle sceneggiature più belle che abbia mai letto. Ho detto subito a Richard che volevo farlo, ma lui ha risposto che dovevamo aspettare perché ero ancora troppo attraente. Da allora ci abbiamo lavorato praticamente ogni due anni, migliorando sempre la sceneggiatura. Poi una volta mi ha visto fare un’intervista da Jimmy Fallon e mi ha chiamato: ok, ora possiamo girare il film! (ride ndr.) Abbiamo terminato le riprese poco prima che partissi per Venezia, è stato il progetto più difficile della mia vita.”
Tra i film più di successo degli ultimi anni, c’è certamente l’horror Sinister. “Quando avevo circa 40 anni mi sono reso conto di quanto volessi essere diventare un attore più versatile. – racconta Hawke – Volevo giocare con i generi. È molto facile fare un film horror decente, basta buttare dentro un po’ di violenza e di spaventi e il pubblico è contento. Ma fare uno Shining o Alien è davvero difficile. Derrickson lo ha capito e quando mi ha proposto di fare un film horror mi ha raccontato la storia di un uomo che per la sua ambizione è disposto a mettere a rischio la propria famiglia. Una metafora fantastica per un film, ma che doveva restare nascosta. È questo il segreto: il film horror deve fare paura, i significati devono lavorare sotto la superfice”.
Infine, Ethan Hawke ha parlato di Pedro Almodóvar, con cui ha collaborato nel corto Strange Way of Life e che presenta oggi il suo nuovo lungometraggio, The Room Next Door: “Siamo fortunati ad avere un film di Almodóvar oggi, non ho mai conosciuto nessuno come lui. – commenta – La cosa bella di questo mestiere è che non c’è un solo modo di fare un film, ma ce ne sono infiniti. È un percorso individuale. La sua è una voce così unica che mi ricordo che i primi giorni sul set facevo fatica, non capivo quello che stavo facendo. Poi ho visto le riprese e mi sono detto: ah vero, sono in un film di Almodóvar! Le regole sono diverse per lui. È un capitano perfetto, sa esattamente quello che vuole e mi ha fatto provare l’aspetto più emozionante di essere un attore”.
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