Emanuela Mascherini, diplomata al Centro sperimentale di cinematografia e con una formazione in digital filmaking alla New York Film Academy, si muove tra la recitazione, la scrittura e la regia. È autrice e protagonista del cortometraggio Alba blu che parla della violenza contro le donne, che uscirà il prossimo anno, mentre attualmente nelle sale interpreta Fernanda, una principessa azzurra sopra le righe nella commedia romantica Doppia coppia di Igor Biddau. La donna ama la natura, parla varie lingue e lavora come guida escursionistica. Non sente l’esigenza di avere un uomo al suo fianco, ha, però, un amico speciale, Vincenzo (Stefano Manca), single convinto e abile rubacuori, mentre l’amica Anna (Maria Celeste Sellitto), ossessionata dal sesso, desidera una relazione stabile. Vincenzo decide insieme a Fernanda di presentare a Anna, Tonino (Michele Manca), alla ricerca dell’anima gemella. Dove colpire Cupido?
Emanuela, Doppia coppia è una commedia romantica sui generis.
È la metafora della principessa azzurra, in questo caso atipica. Fernanda muove le fila della narrazione. Dal punto di vista estetico io non rappresento lo stereotipo classico di questo personaggio. Non sono bionda, né alta, né troppo giovane, né delicata. Trovo che rispetto a un femminile raccontato nelle commedie romantiche spesso in maniera passiva riguardo agli eventi, qui di nuovo c’è il fatto che questa principessa è umana e moderna, attiva e reattiva. C’è un femminile che subisce un retaggio culturale di un certo tipo, ossia il tentativo di tenere tutto sotto controllo, perché noi donne siamo chiamate spesso all’eccellenza. Abbiamo l’ansia anche riguardo alla data di scadenza. Una pressione che subiamo maggiormente rispetto agli uomini.
E che si sente anche nel lavoro che fai?
Assolutamente. Alle attrici viene detto di dover fare tutto entro i 30 anni, altrimenti non ci saranno più possibilità. Mentre per l’attore i 40 sono gli anni migliori. Guardando alle narrazioni sembra che la vita finisca a 30 anni e poi ricominci a 70. Si raccontano principalmente l’adolescenza, la giovinezza e poi la terza età, quando invece c’è una terra di mezzo estremamente complessa che va esplorata sia per il femminile che per il maschile. Io credo ci sia bisogno di fare il più possibile per uscire da questo tipo di dinamica.
Recentemente hai realizzato un cortometraggio sulla violenza contro le donne, Alba blu.
Mi occupo di queste tematiche da tanti anni. Ho sempre portato avanti il mio lavoro di autrice, e ho scritto quattro libri. Intorno all’identità femminile ho sempre lavorato fin da quando sono ragazza, anche con una qualifica come esperta nella valorizzazione delle differenze di genere. È un tema che mi tocca da vicino, ho un coinvolgimento sulla violenza contro le donne estremamente personale. Ho scritto, diretto e interpretato questa storia che parla di una donna e dei postumi indelebili che una violenza può lasciare nella sua mente più che sul corpo. Ho raccontato una sorta di gabbia emotiva in cui la protagonista si chiude, e che ho girato nella ricostruzione della casetta di Buster Keaton, un’opera di Vedovamazzei esposta al Maxxi subito dopo la pandemia, esplorando così il tema della casa. Tutto questo rumore che c’è adesso riguardo alla violenza contro le donne è necessario, ma credo che vada canalizzato. Oltre al rumore, ci devono essere azioni molto specifiche e mirate.
Chi fa un mestiere come il tuo quanta responsabilità sente nell’affrontare determinate storie e tematiche?
Io la sento sia nel raccontarlo che nel metterlo in pratica giornalmente, anche sui set. È importante comprendere come rapportarsi con le dinamiche del potere. Ci abbiamo a che fare tutti i giorni e bisogna fare delle scelte di un certo tipo, visto che sono sbilanciate verso un genere. Come ci comportiamo e ci relazioniamo può determinare un vero cambiamento. Il modo in cui si gestiscono i rapporti di lavoro è qualcosa di politico. E se non si lavora giornalmente per scardinare dinamiche di sopraffazione allora è difficile raggiungere un mutamento profondo.
Dicevi che avevi sempre avuto attenzione sull’identità femminile.
Il mio primo libro è stato sulle donne nel cinema italiano e nell’arco di cinquant’anni è cambiato poco. Le registe in Italia sono ancora solo il 12 per cento, mentre la media in Europa è del 20. Ognuno ha una responsabilità in ogni settore lavorativo. Per cambiare certe dinamiche sarebbe importante partire dalle scuole, dove vanno veicolati certi contenuti.
Nel futuro cosa ci sarà?
Ho sviluppato due progetti per un film alla Berlinale, e spero che almeno uno si possa concretizzare nella mia opera prima. Un film parla del rapporto madre-figlia e dell’elaborazione del lutto di un padre che non c’è mai stato. Intanto, sto lavorando alla nuova edizione di CineAtelier, un festival che ho fondato a Poggio a Caiano (Prato) ambientato in luoghi decentrati della Toscana per dare la possibilità di portare il cinema d’autore là dove il cinema non arriva e per formare anche giovani talenti.
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