Elisabetta Sgarbi: “Non potevamo tradire Scerbanenco”

Dall’inedito 'L’isola degli innocenti', pubblicato solo nel 2018, Renato Carpentieri, Tommaso Ragno, Michela Cescon sono una ricca e intellettuale famiglia isolata in una poetica isola in cui irrompe la realtà, tra "patto educativo", ironia caustica e thriller


I Reffi – Antonio (Renato Carpentieri), anziano padre con un passato da direttore d’orchestra, Celestino (Tommaso Ragno), il figlio un tempo medico, con la passione per la matematica e la filosofia, e Carla (Michela Cescon), sorella di quest’ultimo, scrittrice – sono la ricca famiglia che vive nella propria bolla isolata su un’isola, detta “della Ginestra”, per il resto inabitata da chiunque altro, a parte la loro stretta cerchia di domestici. Con loro, un cane, Pangloss il suo nome, un nome che – in un film che fa della parola e della raffinatezza della stessa un caposaldo, non è affatto casuale. Questa è L’isola degli innocenti di Elisabetta Sgarbi.

“La figlia di Scerbanenco, Cecilia, venne in casa editrice cercando un editore che si prendesse cura dell’opera omnia di suo papà, con l’idea che il primo libro pubblicato sarebbe stato un inedito: l’abbiamo pubblicato nel 2018, sapendo non fosse tra le opere più seguite e che non avesse come protagonista l’amato Duca Lamberti, era un’opera rosa-noir. Poi ci siamo innamorati, per la sceneggiatura, dell’unità di luogo, spazio in cui scatenare le storie della famiglia, portando lì la vita, portata da qualcuno che venisse da fuori. Nell’architettura di questa casa vediamo scendere i personaggi dal piano superiore, in primis Carpentieri, dal piglio ironico verso i ladri; poi Celestino, soprattutto dialogante con Beatrice (Elena Radonicich), a cui propone un patto, attraverso cui creare un dialogo per il cambiamento. Noi abbiamo costruito una storia in cui due ragazzi portano la vita in una bolla. Duca Lamberti era medico, amante di filosofia e matematica, così il personaggio di Ragno era ispirato a lui ed era un ponte: abbiamo creato un mondo in cui la famiglia comincia una trasformazione, nel tentativo di trasformare gli altri. Siamo stati abbastanza aderenti all’opera letteraria, non potevamo tradire il romanzo: la lingua può sembrare artificiale ma l’abbiamo tenuta letteraria volutamente, per una performance ancor più efficace degli attori”. E certamente un valore da celebrare a questo film di Elisabetta Sgarbi è la fedeltà a Scerbanenco, non solo nell’aderenza al romanzo, ma anche nella capacità non scontata di riuscire a creare e restituire la matericità e la palpabilità delle atmosfere, così anche delle emozioni, un talento raro in cui lo scrittore di origini ucraine è sempre riuscito, diffondendoli intorno al lettore, fuoriuscendo dalle pagine di carta; qui, Sgarbi porta Scerbanenco sullo schermo con lodevole rispetto, eleganza e pregnanza. 

“Papà, mi lasci commettere uno sbaglio?”, domanda Celestino al risveglio, dopo che la notte precedente due ladri, Beatrice e Guido (Renato De Simone) gli piombano in casa, non per rapina, ma per “pernottare” diciamo, per nascondersi insomma. La risposta ilare del vecchio padre restituisce già la vena dei rapporti famigliari, e lo spirito del racconto: “conoscendoti – risponde a Celestino – ci siamo già dentro”, ed è di lì a poco che sbarca la polizia, guidata dall’agente responsabile (Vincenzo Nemolato), che ascolta, domanda, osserva, non insiste, non si fida ma finge morbidezza e poi sentenzia: “questa isola è una gabbia, non un nascondiglio”.

“Io ho subìto una fascinazione dalla proposta perché sono molto sensibile ai valori della lingua; il libro è scritto in italiano, lo dico senza analisi critica: non risente del ‘traduttese’ o dell’imitazione di altre lingue, e l’italiano è una lingua letteraria. Lo sforzo di recitare in italiano è ancor’oggi lo sforzo più notevole per un attore. Quell’aspetto vagamente posone dei personaggi, la voluttà, sono stati elementi che mi hanno fatto conquistare dal personaggio, per quello che gli capitava. Il passo l’ha dettato l’immaginario creato da Elisabetta, l’ha creato la lingua, e non ho mai pensato che alla lingua, permettendomi così di buttarmi a corpo libero, a cuore aperto. Il mio personaggio conosce l’evoluzione grazie all’arrivo di Beatrice, ma nell’interazione con gli altri attori c’era il ritrovare giocatori con cui si capisce all’istante: fare l’imitazione della realtà è difficilissimo ma ho avuto la possibilità di giocare a questo livello, un raro caso. Ho amato molto che nessun personaggio dovesse mostrare un difetto visibile, ma che fossero in sottigliezze”, spiega Tommaso Ragno.

Ma insomma, cosa sott’intendeva la domanda di Celestino al papà? Il desiderio di provare a stringere un patto con Beatrice e Guido: lui, l’ex medico, che non ama “l’obbedienza passiva” e per cui “la bugia è un desiderio”. Celestino concorda e dunque stringe il patto: la famiglia non denuncia alla polizia la loro fuga in atto, la loro presenza sull’isola, in cambio della disponibilità dei due ladri a sottoporsi alla pratica di un metodo educativo. I due accettano, in fondo non hanno nulla o quasi da perdere: lei gioca di discreta ma consapevole seduzione con Celestino – sapiente e ironico è il vecchio papà quando suona all’impronta un valzer di Strauss e lei… porta il personaggio di Ragno a stringerli in un ballo, cercando di trascinarlo poi in quella sua “malinconia senza rimedio”; mentre lui, Guido, sfodera un talento artistico con la matura sorella Carla, che si sente sedotta e perde così di vista un certo suo prezioso anello…

“Io credo abbiamo recitato con naturalezza la lingua letteraria, senza sentirci in una camicia di forza, abbiamo reso possibile questa lingua. Il mio personaggio è improntato a un rapporto basato sull’ironia caustica, perché i tre hanno scelto di vivere in quella villa le proprie solitudini. Dopodiché arriva la novità e sconvolge: la realtà esterna arriva in casa e produce una serie di cose..”, racconta Carpentieri.

D’altronde, c’è un conto alla rovescia che incombe e corrisponde anche alla risposta del perché… Beatrice e Guido siano in fuga: la risposta vive in Antonio Rezza, nel personaggio che intima a Guido “sei giorni” per restituirgli il denaro che gli deve. E’ questa stretta, dalle linee inquietanti, a far scattare l’idea di un altro patto in Celestino, questa volta giocando forse dalla parte della Legge, sempre rendendo prioritario il suo senso di cura per l’umano. Quanto è empatico quest’uomo che porta sempre con sé lo spirito primo del senso della cura dell’altro? Quando è semplicemente un uomo come tutti, sensibile alle debolezze della carne? Quanto la sua curiosità e la sua ossessione possono sfiorare il diabolico? Se L’isola degli idealisti è anche un film di simboli, la stanza numero 666 certamente è uno di questi.

Per Elena Radonicich “a monte c’era una sintonia con il mondo onirico di Elisabetta, io abitavo una sua fantasia; ero come un fantasma, una sua precisa proiezione, con grandi dettagli; aver creduto a questo tempo sospeso offriva gli strumenti per recitare, perché la realtà non era uno degli oggetti del film. Si trattava di fare un ingresso lanciandosi oltre, e così è stato fatto, senza paura, in un film estremamente libero”.

L’isola degli idealisti era dunque il romanzo perduto di Giorgio Scerbanenco, pubblicato per la prima volta nel 2018 da La Nave di Teseo: l’adattamento per il grande schermo è scritto dalla stessa Elisabetta Sgarbi insieme a Eugenio Lio. Il film è prodotto da Bibi Film e Betty Wrong con Rai Cinema, e sarà distribuito nelle sale da Fandango Distribuzione.

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23 Ottobre 2024

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