“Il racconto è la mia salvezza”. Lo dice Elisa Fuksas in uno dei dialoghi, asciutti e ben scritti, utilizzati come commento al suo iSOLA, che passa alle Giornate degli Autori. E forse è una salvezza per tutti. Non sarebbe corretto definire il film solo un documentario, anche se di fatto finisce per rappresentare in maniera poetica ed emozionante l’Italia del lockdown. E nemmeno si tratta di un instant movie sul Coronavirus, dato che nasce dall’esigenza di raccontare, e dunque esorcizzare, un altro male, un tumore alla tiroide, diagnosticato all’autrice il 26 febbraio 2020.
“A volte un bene apparente è un male e vice versa. Certe fortune in realtà sono sfortune. Un errore che sembra imperdonabile può essere provvidenziale, e solo tempo dopo si capisce qualcosa in più. Quando storie più grande di noi si confondono con la nostra, diventa più difficile decifrare cosa vogliano dirci, ma forse è una nostra ossessione pensare che tutto ci parli e parli di noi”, prosegue Fuksas.
Costretta a isolarsi, come recita il titolo, e a convivere con l’attesa di un intervento che viene costantemente ritardato dall’emergenza Covid – situazione seria ma non grave, come quella di molti ammalati “di altro” nel periodo della quarantena – l’autrice racconta tutto attraverso il suo cellulare e i suoi sentimenti, ponendo innanzitutto la trasparenza come elemento portante del racconto, e riuscendo così a coinvolgere lo spettatore anche quando parla di vicende assolutamente personali. Come quella di Alessia, la sua amica, come lei ammalata di una forma di tumore ancora più pericolosa. Una scoperta arrivata a riprese iniziate e che ancora una volta devia il flusso della narrazione.
“Il primo racconto l’ho fatto a me stessa – ha detto poi la regista– in un momento storico e personale molto difficile, ho cercato il modo di ironizzare ed elaborare quello che succedeva. Riprendere, riprendermi, con l’unica cosa che avevo a disposizione cioè il mio cellulare, non è stata una scelta stilistica ma di sopravvivenza. Con spontaneità, immediatezza, – spiega – ho ripreso tutto nello stesso momento in cui accadeva, in cui lo vivevo, dimenticando il pudore e la convenienza estetica o formale. Quello che sembra, che sembro, viene dopo: ho provato a scegliere la verità, che non è tutto ma è già qualcosa”. Il film parla anche di fede e religione, attraverso la “casuale” coincidenza della data dell’operazione con quella del battesimo dell’autrice, avvenuto appena un anno prima. Un anno che date le circostanze sembra contenere gli accadimenti di dieci, ed è un sentimento che Fuksas riesce a esprimere con grande sincerità intrecciando il corso della sua storia con quella di tutti coloro che si sono trovati a dover affrontare l’imposto cambiamento del mondo, spesso in concomitanza con altri problemi di natura pratica e personale.
“Ora sto molto meglio – dichiara Fuksas – Lì per lì non avevo dato peso al fatto che la tiroide regola un po’ tutto, anche l’umore. Ora vivo emozioni contrastanti. Piango, rido, voglio morire, voglio vivere. Il lockdown ha messo tutto in secondo piano. Ho conosciuto persone che avevano un gran mal di denti e non potevano curarsi. Adesso c’è un momento particolare, di ‘attesa’. Sto cercando di guardare a quello che succede. Prima ero ‘avanti’ al momento, volevo fare per non soffermarmi a vederlo. Adesso devo rendermi conto di quello che ho fatto e di quello che mi è successo. Le giornate in quarantena erano tutte concentrate a finire il romanzo che esce in parallelo con la pellicola, mentre l’idea del film è venuta in un secondo momento. Era nato semplicemente come un diario personale e penso che questo si veda. C’è un momento, da quando sono stata meglio, in cui mi sono concentrata sul racconto e il film ha acquisito forma, ma ho avuto molti dubbi, era un percorso personale, che non sapevo dove mi avrebbe portata e che mi faceva paura”.
Ma si chiude con una ripresa suggestiva della Terra dalla stratosfera, registrata con una Go-Pro, che sembra dire “speranza” o quantomeno invitare, come ne L’Attimo Fuggente, a guardare le cose da un’altra prospettiva: “Il film è stato tutto realizzato con un iPhone e quello è l’unico momento dove usiamo una Go-Pro, con l’aiuto dell’artista Tommaso Fagioli. E’ una vera performance. A una certa temperatura e pressione, tutto esplode e cade a terra. Devi usare il GPS per ritrovarlo ma anche essere fortunato. Non puoi sapere se cade su un albero o sul tetto di una fabbrica, ma per noi è andata bene”.
E il futuro? “Non ho paura per me. Se devo morire me ne farò una ragione. Ma per la mia specie. Siamo cambiati, anche se non lo vogliamo ammettere. Mi metto a piangere anche se guardo solo il trailer del film, e anzi spero di non farlo a Venezia. Voglio lasciar andare questa storia e iniziare a raccontare qualcos’altro. Tutto quello che mi succede lo interpreto come qualcosa che sia possibile raccontare. A volte si scrive tutto da sé, anche in questo caso, alla fine, sono venuti fuori da soli momenti intensi e colpi di scena. Mi sentivo come un fantasma, ed è proprio una storia di fantasmi che vorrei scrivere adesso, ci sto pensando. Anche il titolo di questo film, per esempio, non so da dove sia venuto. Forse glie l’ho dato io, forse il produttore. Si chiamava Isola, poi Isole, poi Sola, poi di nuovo iSola ma con la S maiuscola, che rimanda al nome dell’iPhone. Le storie hanno vita propria”.
A Venezia ci sarà anche Alessia. “E’ stata molto peggio e poi molto meglio. E’ coraggiosissima e sono contenta che sia con me”, chiude Fuksas.
Assieme al film, esce anche il suo libro ‘Ama e fai quello che vuoi’, edito da Marsilio, che intreccia in qualche modo le vicende del film. “Elisa ha trentasette anni – recita la sinossi – niente figli, un fidanzato, Giacomo, col quale sta bene ma tanto tutto prima o poi finisce, un nuovo corteggiatore conosciuto durante una lezione di yoga, Luca, alto e del nord,col quale si incontra la mattina alle cinque, una sorella, Bianca, molto diversa da lei, come si addice alle sorelle, e due genitori che, un anno prima che questa storia inizi, decidono di sposarsi in chiesa.Elisa e Giacomo hanno molte cose in comune, ma forse non un grande senso della realtà e quando Elisa riceve una inaspettata proposta di matrimonio da Luca, nonostante sia forse un gioco, realizza di non essere battezzata.Qualcosa cambia in lei e da quel momento inizia a vedere il disegno di Dio ovunque. Ma come ci si battezza da adulti? Si comincia, pare, trovando una chiesa e un prete e, in fondo, un’appartenenza.In un romanzo scandito come l’anno liturgico, Elisa Fuksas, accompagnata da Elia, il giovane padrespirituale, compie un viaggio che da se stessa la porta a se stessa, senza lasciare indietro nessuno dei suoi – numerosi, ironici, teneri, fastidiosi – difetti”.
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