TORINO – “Avevo paura di questa storia, dell’oscurità, dell’eccentricità dei personaggi. Ero affascinato dalla storia ma intimidito artisticamente. Solo quando ho trovato il momento giusto nella società e un cast che fosse entusiasta di partecipare ho trovato la forza di andare avanti”. Quando un artista è orgoglioso del proprio lavoro lo si vede all’istante, Ron Howard lo è sicuramente del suo Eden. Il regista premio Oscar ha presentato ieri sera in apertura del 42° Torino Film Festival (che l’ha onorato con la consegna della Stella della Mole) l’anteprima italiana del suo ultimo film, sicuramente uno dei più ambiziosi di tutta la sua carriera, tanto che ha richiesto 15 anni di attesa e un nuovo “approccio produttivo”.
Dopo avere realizzato alcuni dei colossal più importanti degli ultimi 20 anni, da Apollo 13 a Rush passando da A Beautiful Mind e Il Codice da Vinci, Howard ha deciso di raccontare una storia che gli stava sinceramente a cuore, lasciandosi la libertà di esprimersi come autore, al di fuori delle meccaniche commerciali. “Le ragioni per cui mi sono preso il mio tempo per girare questo film è perché non si tratta di una produzione convenzionale da Major. – dichiara il regista – Sapevo di avere bisogno di una produzione indipendente, proprio per avere la giusta liberà creativa per impostare il tono narrativo che volevo, in un’ambizione creativa che per me ha significato una modalità diversa di produzione del film”.
Eden è ispirato alla storia vera accaduta all’inizio del secolo scorso, quando il dottor Friedrich Ritter (Jude Law) e la sua compagna Dora Strauch (Vanessa Kirby) fuggirono da una Germania sconvolta dalla crisi finanziaria per andare a vivere nell’isola deserta di Floreana, nelle Galapagos. Stanco delle logiche borghesi, l’uomo è infatti convinto di potere scrivere una teoria filosofica che possa letteralmente salvare l’umanità. Attratti dalla sua popolarità, verrà raggiunto dai coniugi Margaret ed Heinz Wittmer (Sydney Sweeney e Daniel Brühl), in cerca di un luogo salutare per il figlio tubercolotico, e infine dalla sedicente baronessa Eloise (Ana De Armas), accompagnata dai suoi amanti, totalmente assoggettati dalla sua bellezza e dal suo carisma. La convivenza tra questi tre gruppi – costretti a vivere in condizioni estreme – diventerà presto molto complicata, correndo continuamente il rischio di precipitare nell’odio reciproco e nella violenza.
“Quando ho scoperto questa storia mi trovavo in vacanza con la mia famiglia, subito abbiamo iniziato a parlare tra di noi su che cosa avremmo fatto al posto di un personaggio o di quell’altro. – racconta Howard – Chiedendoci se avremmo ceduto agli nostri istinti oscuri o se saremmo stati in grado di elevarci. Questo è stato l’aspetto che mi ha maggiormente attratto in questa storia. A maggior ragione nella veste di regista perché dovevo trovare un modo per entrare in empatia con i personaggi più narcisistici ed egocentrici, che commettono cose atroci. È stata questa esplorazione che mi ha attratto nella convinzione che lo avrebbe fatto anche con il pubblico, che si sarebbero posti le stesse domande dopo avere visto il film”.
Il nuovo prototipo di società dalle regole e dai principi molto sfumati che viene ricreato sull’isola sarà tutt’altro che perfetto. Mentre la famiglia Wittmer inizia a trovare un proprio equilibrio grazie a un severo senso del lavoro e del sacrificio, l’intellettuale Ritter si dimostrerà presto “un uomo spinto dal suo ego, che si crede un grande filosofo, ma che vuole solo essere una star”. La baronessa, infine, spinta dal più totale edonismo e priva di mantenere i suoi ambiziosi propositi di costruire un albergo di lusso, si ritroverà a vestire i panni dell’antagonista, una vera e propria mina vagante per l’incolumità degli altri personaggi. La seconda parte del film, infatti, si contraddistinguerà da un tono molto teso e da scene cruente, mettendo in scena una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
“Trovo interessante l’arco delle tre donne, le scelte che compiono per sopravvivere. Sono tre personalità diverse: la baronessa è una narcisista in cerca della fama, Dora è una donna più profonda a livello intellettuale, che scava in se stessa per trovare la verità, e Margaret che non riesce a concepirsi in un ruolo diverso da quello di sposa e madre, ma che trova in se stessa una forza che non credeva di avere. – continua il regista – Ho trovato singolare che in qualche modo nella patria in cui Darwin ha sviluppato la teoria dell’adattamento naturale sia stata teatro della coesistenza di personalità così differenti, che stavano cercando di sperimentare una nuova strategia di vita. Vengono esposte tante teorie filosofiche e ciascun spettatore può trovare la propria, io preferisco di non dire la mia, anche se ammetto di essere sempre stato un umanista”.
Ciò che rende Eden un film che non può passare inosservato è indubbiamente il suo cast stellare. Cinque divi che hanno accettato di rinunciare ai loro soliti cachet, per partecipare alla visione di un regista dalla grandissima esperienza e dall’incontestabile umanità. Di contro, hanno avuto l’occasione di interpretare altrettanti personaggi ricchi di sfaccettature, che hanno chiesto a tutti loro uno sforzo interpretativo al di fuori del normale. “Daniel Brühl aveva l’arduo compito di interpretare un personaggio che si sforza di conoscere. Avrei sempre voluto lavorare con lui. Vanessa Kirby ha un grande intelletto e creatività, vuole andare a fondo di quello su cui lavora. Jude Law ha un incredibile spettro recitativo, può interpretare tantissimi ruoli. Ana De Armas è una donna estremamente coraggiosa. Dopo tutti i ruoli che ha fatto ho capito che ha il coraggio di spingersi oltre, ma anche una grande umanità. Sydney Sweeney è molto talentuosa, ma silenziosa. Quando le parli potrebbe sembrare la ragazza della porta accanto, ma sotto nasconde una grandissima forza”.
Lontanissimo dai tanti blockbuster patinati che Ron Howard ha collezionato nella sua lunga carriera, Eden è un film quasi del tutto privo di colori accesi in chiara contrapposizione al “paradiso terrestre” in cui è ambientato. In compenso, è una storia ricca di simbolismi e metafore della nostra società, che ci porta a riflettere sul nostro rapporto con la natura, su quanto ne abbiamo bisogno e su quanto rischiamo di perdere. Una storia vera che, nonostante sia ambientata quasi un secolo fa, risuona enormemente sul nostro presente. “Sono stati momenti in cui ho pensato che questa storia avesse scarsa rilevanza con l’attualità, ma dopo la pandemia ho capito che il legame con l’attualità era molto forte e che ci saremmo potuti facilmente immedesimati con i personaggi”, conclude Howard.
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