E Colin Firth fa il verso a James Bond

Esce il 25 febbraio Kingsman: Secret Service, dove l'attore britannico, Oscar per Il discorso del re, è un agente segreto elegante e upper class


Elegante, forbito e controllato, Colin Firth è un agente segreto molto british e molto upper class che fa il verso a James Bond in Kingsman: Secret Service, la spy story ispirata a un fumetto di Mark Millar, che arriva in sala il 25 febbraio con la Fox. Diretto da Matthew Vaughn (Kick-Ass e X-Men. L’inizio), che ha rinunciato proprio al nuovo X-Men per fare parte della partita, l’action movie sfodera una discreta dose di ironia nel costruire il mondo parallelo dei Kingsman, agenti segreti che si ispirano ai cavalieri della Tavola Rotonda per difendere l’Inghilterra (e il mondo) da minacce varie. In questo caso una sim card che provocherà l’estinzione della quasi totalità del genere umano scatenando la furia omicida della massa. Si salveranno solo i più ricchi e potenti, messi al sicuro dal magnate Valentine (un buffo Samuel L. Jackson che parla con la zeppola) in una specie di rifugio sotterraneo. Ma l’agente Harry Harts (Colin Firth), insieme al giovane Eggsy (Taron Egerton), suo protetto accolto tra i Kingsman benché di classe sociale “inferiore”, sventa la trama.

Nel film c’è anche un brano dei Take That (alla terza collaborazione con il regista) e infatti Gary Barlow, Howard Donald e Mark Owen hanno partecipato oggi a Roma all’affollata conferenza stampa. Fuori dall’Hotel de Russie, a due passi da Piazza del Popolo, stazionava un bel numero di fans, tutte di sesso femminile. Per i Take That ma anche per Colin Firth, affascinante ultracinquantenne, molto amato specialmente dalle signore. L’attore inglese, ma sposato con l’italiana Livia Giuggioli e con residenza in Umbria, si è detto entusiasta di incarnare questa versione rivisitata di 007, “sono cresciuto con Henry Palmer e i vari James Bond e anch’io da bambino sognavo di fare l’agente segreto, anche se non credo che sarei stato granché”, ha rivelato. Ancor più convinto il giovane Taron Egerton, che considera Kingsman come “un film alla James Bond, in stile Roger Moore, ma aggiornato alla sensibilità contemporanea, con un aspetto teatrale e comico, iperrealista e coreografato”. Tra le molte battute, è già proverbiale quella pronunciata dalla principessa svedese prigioniera del cattivo di turno che offre sesso anale al suo liberatore. Qualcuno la considera un po’ pesante, ma Firth non si sbilancia sul tema. “Non posso rispondere al posto del regista, dico solo che la mia assenza da quella scena è voluta”.

Gli chiedono di immaginare cosa accadrebbe se i “cavalieri del re” esistessero davvero. “È una storia di fantasia, se davvero ci fosse una società segreta così ricca, armata fino ai denti e dotata di un preciso programma educativo, la cosa mi spaventerebbe a morte, specie in un mondo come il nostro, un po’ alla deriva”. Ma non ha voglia di fare collegamenti con la vicenda di Charlie Hebdo, nonostante in Kingsman ci sia una scena iperviolenta in cui una comunità religiosa di cristiani oltranzisti si scanna dentro una chiesa. “Non vorrei sembrare sfuggente o evasivo, ma questo film è pura fantasia ed è stato concepito molto prima della strage di Parigi”. E aggiunge: “Tenete presente che attinge da altri film e non ha nulla a che vedere col mondo reale”. Però è piuttosto attendibile nel mostrare come la tecnologia possa influenzare i comportamenti delle grandi masse con conseguenze nefaste. “Uno scenario che fa paura – ammette Egerton – proprio facendo questo film ho preso coscienza della mia dipendenza dai social network. Sto su twitter tutto il tempo a leggere cose di cui in effetti non me ne importa niente”. Mentre il più famoso e anziano collega – Coppa Volpi per A single man e Oscar per Il discorso del re – ammette di non conoscere quasi twitter. “Non so neppure cosa è un hashtag, ma so che i social media hanno un potere immenso che può andare in direzioni negative o positive. Dettano le condizioni dei nostri rapporti, ma possono anche essere uno strumento politico importante, possono permettere a tutti di partecipare, rendere le persone creative. Però l’altro giorno ero a Venezia, nel posto più bello del mondo, e tutti stavano con la testa china sul tablet oppure a fotografare quello che mangiavano”. Mentre Gary Barlow dei Take That ama i social, che considera divertenti ed istruttivi per capire come la pensano le persone. “Mi piace la tecnologia. Uso whatsup anche per dire a mia figlia, di 14 anni, che la cena è pronta”. 

Ultima battuta per Firth, che per prepararsi al ruolo si è sottoposto a un training fisico “molto doloroso”, a proposito del classismo estremo del suo personaggio, che potrebbe essere un membro della Camera dei Lord, “un’istituzione paradossale, non molto utile a mio parere, anche se quando si sono espressi contro la pena di morte, li ho apprezzati”. Ecco cosa dice: “Guardate che nel film Michael Caine ha il ruolo del nobile d’altri tempi, quasi un fossile, che cerca di tenere lontano il ragazzo plebeo dalla società segreta. Ebbene, alla fine si scopre dall’accento che viene anche lui della classe operaia”. 

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02 Febbraio 2015

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