La notizia è di quelle piccole, ma sensazionali abbastanza da entrare nel filo della mitologia del Cinema. Il settimanale ‘Gente’ pubblica un resoconto su un interessante volume biografico dedicato a Brigitte Bardot, firmato da Mauro Zanon ‘Brigitte Bardot – Un’estate italiana’, (edizioni GOG, con una prefazione di un cultore della materia come Giampiero Mughini), dedicato al legame tra la diva di Piace a troppi e l’Italia. E in un passo è la stessa attrice a raccontare un momento quasi casuale, ma cardine per la sua carriera, e per una piccola parte della storia del cinema.
L’attrice, non ancora la BB per antonomasia, arriva in Italia nel 1956 per partecipare alle riprese della commedia/peplum Mio figlio Nerone di Steno (uno di quei titoli con un cast oggi inconcepibile: accanto alla Bardot, Alberto Sordi, Vittorio De Sica e Gloria Swanson…), ma soprattutto per inseguire un successo che in Francia ancora non le arride pienamente. Si presenta sul set a Cinecittà per interpretare Poppea, ancora con i suoi capelli naturalmente castani. Ma negli Studi di via Tuscolana le viene imposto di decolorarli, per assomigliare il più possibile all’iconologia della moglie dell’imperatore.
Entrata a Cinecittà con la chioma scura, Brigitte ne esce bionda, con quella tinta che la lancerà lo stesso anno nel memorabile Et Dieu… créa la femme di Roger Vadim, nell’immaginario collettivo mondiale. Creando, anche attraverso la selvaggia chioma della protagonista, uno di quei luoghi e simboli più riconoscibili non solo dello stardom, ma di una moda, una cultura e una temperie sociale. Se l’attore è il portavoce di un film, e il suo primo piano è la chiave per intenderlo al meglio, si può dire che una non irrilevante fetta della mitologia di una delle maggiori icone della settima arte nasce da qui, a Cinecittà.
Il libro di Zanon racconta altre circostanze del forte legame di B.B. col nostro paese: la mamma nata a Milano, l’adorata prima tata italiana, Maria. E ancora i celebri amori con Raf Vallone alla fine degli anni ’50, e con Gigi Rizzi nel ’68. Fino a un ciclo prezioso di 25 acquarelli realizzati da Milo Manara, presi a modello per la scultura in bronzo che celebra la diva a Saint Tropez. E altri succosi aneddoti. Ma è proprio l’episodio della tinta dei capelli a restituire fortissima l’idea di un’altra enorme protagonista del cinema di tutti i tempi passata per le mura di Cinecittà. E a dare l’idea di quel genio creativo che è uno dei marchi delle maestranze romane. In questo caso quell’artigianato dei parrucchieri e dell’acconciatura, che non si rievoca spesso nel racconto sui film, ma che – come ogni attore ben sa – ha una parte simbolicamente e visivamente molto importante.
La storia dei capelli di BB regala un omaggio anche a questi artisti del dietro le quinte. Oltre a situare la nascita di un altro mito moderno dentro la Fabbrica dei Sogni di Cinecittà.
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