Il sito Indiwire elogia uno per uno 29 cinematographer internazionali candidati ai massimi riconoscimenti. Assieme a nomi celebri quali Bruno Delbonnel, Denis Lenoir, Linus Sandgren, Dan Laustsen, Paul Thomas Anderson, Robert Yeoman, Hidetoshi Shinomiya, figurano due italiani emergenti nella professione di ‘autori della cinematografia’, secondo la definizione prediletta da un maestro quale Vittorio Storaro: Daria D’Antonio per È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, e Daniele Massaccesi per Matrix Resurrections di Lana Wachowski.
Figlio d’arte – il padre Aristide Massaccesi era il regista noto con lo pseudonimo Joe D’Amato -, Daniele Massaccesi aveva lavorato come operatore in grandi produzioni dirette, tra gli altri, da Martin Scorsese, Ridley Scott, Matteo Garrone, Antoine Fuqua. Ha preso in mano le redini fotografiche del quarto film della serie Matrix quando il collega americano John Toll – due volte Premio Oscar – ha deciso di lasciare la lavorazione. Ha girato in 4K utilizzando la macchina da presa Red Ranger e obiettivi Panavision. Spiega Massaccesi: “La serie Matrix è sempre stata molto avanzata sul piano visivo. Matrix Resurrections arriva a vent’anni di distanza dal primo film. Le cose sono assai cambiate nel mondo, perciò abbiamo deciso di creare un look nuovo che apparisse più reale della realtà stessa”.
Daria D’Antonio, allieva e assistente di Luca Bigazzi, aveva lavorato con cineasti quali Gianni Di Gregorio, Valerio Mieli, Marco Segato. Ha girato È stata la mano di Dio in 8K HD Redcode Raw utilizzando la macchina da presa Red DSCM2 Monstro e obiettivi Arri Signature Prime. Racconta D’Antonio: “Il formato largo, e in particolare gli obiettivi Arri Signature, mi hanno avvicinato ancora di più al giovane protagonista Fabietto. Quel giovane che poi è diventato l’uomo che conosco da molto tempo, un regista con il quale collaboro da tanti anni e che è soprattutto un fratello. Stare al suo fianco in questo viaggio spericolato ed emotivo ha richiesto rispetto assoluto, atteggiamento mimetico e una grande leggerezza d’animo. Mi piaceva che l’immagine fosse ricca di dettagli ma che avesse una certa morbidezza, che fosse come una carezza. Mi piaceva l’idea che la figura umana fosse in primo piano e sullo sfondo si potessero percepire tanti elementi senza mai distrarsi dalle emozioni e dai pensieri dei personaggi. Volevo colori discreti, movimenti di macchina diegetici e che le luci descrivessero delle emozioni”.
La prestigiosa rivista hollywoodiana American Cinematographer edita dall’American Society of Cinematographers-ASC annuncia nel numero di marzo un’intervista proprio con Daria D’Antonio.
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