GIFFONI – “Domenica”, questo il titolo che dava identità al primo episodio della prima stagione di Tutto Chiede Salvezza, perché una settimana era il tempo fondamentale a presentare Daniele (Federico Cesari), tutto l’universo intorno e dentro alla sua anima, e con lui il reparto in cui passa sette giorni di TSO, che gli hanno cambiato davvero l’esistenza. Dal romanzo di Daniele Mencarelli, la serie è scritta e diretta da Francesco Bruni, che adesso debutta con la seconda, cominciando con “Prima settimana”, episodio in anteprima a #Giffoni54, accompagnato dal suo autore e dai protagonisti centrali, Fotinì Peluso, Federico Cesari, insieme alla debuttante Drusilla Foer.
Lei è Nina e lui è Daniele e, dopo due anni, più d’una cosa è cambiata: anzitutto, loro due sono adesso mamma e papà della piccola Maria, ma la nascita più che avvicinarli li ha allontanati, tanto da contendersi l’affidamento; poli opposti sono le due famiglie, così differenti tra loro.
Daniele, ricordiamo, ha vissuto sulla sua pelle un’esperienza intensa: il TSO è rimasto impresso, tanto che ha deciso di diventare infermiere e adesso sta per entrare come tirocinante nell’ospedale in cui era stato ricoverato. “Non vedevo l’ora di tornare nei panni di Daniele, avevo grandissime aspettative: le difficoltà sono state tante, come il conciliare il salto temporale in cui lui assume responsabilità sociali molto importanti. C’era la necessità di dare una continuità, ma anche un tentativo di contenere l’emotività nelle sue responsabilità. Da un lato la sua profonda emotività ha bisogno di emergere e quando non succede crea contraddizione interna. È stato complicato tenere il punto tra queste cose”.
“Questa seconda stagione, pur essendo Daniele libero, è più tesa e drammatica della prima. Perché lì dentro c’è un campionario della follia, mentre fuori ci sono tutte le stagioni: fuori c’è anche una battaglia legale in corso. I suoi sodali di prima sono un po’ dispersi… finché ci sarà solo un momento di magica riunione”, commenta il regista, che apre la serie con la musica di “penso che un sogno così non ritorni mai più” da Nel blu dipinto di blu, scelta musicale fatta dall’autore per “ingannare lo spettatore, fargli pensare che inizi un’onda di piacere”, mentre invece…
C’è una sorta di conto alla rovescia in corso, per Daniele: cinque settimane per dimostrare al giudice che possa essere maturo per conquistare un mestiere stabile, tanto quanto essere così un papà affidabile. Come lui era stato paziente, da infermiere Daniele è messo adesso di fronte ad altri pazienti, un confronto umano che lo costringe a fare i conti con i suoi nervi a fior di pelle e a riflettere sul proprio eccesso di empatia verso il dolore degli altri, qualcosa che più che un dono è una china ancora per lui rischiosa. “Credo che Nina abbia fatto lo stacco più grande”, commenta Fotinì Peluso, per cui “dal secondo episodio fa un percorso grande: era un personaggio con la necessità di cambiare. Prima viveva in una bolla distorta fatta di immagine e distruzione, per cui era chiaro che il percorso analitico l’avrebbe modificata: adesso è un personaggio più aperto. Poi è diventata madre, che è stato un po’ difficile da personificare: mi ha molto impressionata, sin dalle prime scene, che lei abbia un suo centro differente dalla prima stagione”. Per Cesari: “la complessità è un’esigenza della nostra generazione, derivata da fenomeni come la sofferenza psicologica: credo che purtroppo un grande contributo lo stia dando l’appiattimento della comunicazione, che tende a ridurre sempre all’essenziale, come può essere un messaggio. L’appiattimento toglie tridimensionalità alla vita”. Sull’attualità reale, Fotinì personalmente si dice “non pessimista, ma purtroppo siamo inseriti in un contesto drammatico di analfabetismo emotivo, sociale; non ci rendiamo più conto dei valori umani e la difficoltà è proprio mantenere il contatto, con la tecnologia che inevitabilmente pone distanza, oltre al contesto geo politico in cui viviamo. Mi sento delusa dell’appiattimento dalla nostra sfera umana, mi impressiona – infatti – quando qualcuno riesce a riconnettersi alla semplicità dello scambio reciproco. Credo che molta responsabilità sia posta nella nostra generazione: l’arte può far riflettere, non cambierà il mondo, ma ci permette di riflettere rispetto alla velocità, per aiutarci a prendere coscienza”.
Nella vicenda, c’è adesso anche Drusilla Foer, nel ruolo di Matilde, “nata Andrea” – infatti viene ricoverata nel reparto maschile, in quella che era la stanza di Daniele, questo perché conosciuta ai medici, che conoscono la sua identità anagrafica: entra in scena in crisi, in barella, sotto sedazione, e man mano inquieta l’animo del personaggio di Cesari. Foer per l’anteprima di Giffoni racconta che: “sì, Matilde è geneticamente uomo, anche se ha apportato al corpo delle modifiche. È un personaggio tormentato, ringhioso, malinconico. Incontra Daniele, con cui ha un rapporto proiettivo: lei è un personaggio completo, che mi ha costretto a riprendere pezzetti di me, esperienze di vita. In questo lavoro ho dovuto pensare a tante persone della mia vita: dolori e bizzarrie. Bruni mi ha fatto il dono di mettermi molta serenità, necessaria a cercare le persone che ho conosciuto con queste caratteristiche. Questo lavoro è stata anche una restituzione dei conflitti interni attraversati nella vita. Non è stato difficilissimo il ruolo, grazie a un set inondato di sentimento: in queste situazioni mi affido con devozioni alla storia. Credo questo lavoro abbia tantissimi spunti e generosi suggerimenti per l’educazione sentimentale. Non è stato nemmeno difficile rinunciare all’aspetto di Drusilla: sono stata felice di decomporre lo stereotipo, felice di esprimere la complessità. Mi ci sono proprio buttata dentro, con lo spirito dell’accoglienza della complessità”.
E poi a Giffoni c’è anche lui, Daniele Mencarelli, autore del libro da cui tutto è cominciato: “per me, che ho vissuto l’esperienza biografica alla base del romanzo, è rimasta la volontà di continuare a celebrare temi e personaggi: c’è un crinale che non divide realtà biografica e finzione; il tema della malattia mentale chiede di essere affrontato e celebrato come rito collettivo, perché l’uomo solo soccombe. Una figura per me di riferimento è Franco Basaglia: il primo che ha considerato la lingua della psichiatria non sufficiente a leggere l’umano. Non possiamo confondere la complessità con la patologia: oggi esistono adulti incapaci di affrontarla, la complessità, di avere parole giuste, che non possono delegare solo alla medicalizzazione. Della mia esperienza del TSO ho una soggettiva che guarda, non che si guarda: ho delle scene scolpite nella memoria, ma non tanto la percezione di me. Spesso quando penso al TSO sovrappongono al me immaginifico quello di Federico. Bruni ha portato avanti il rispetto per un tema”. E, per Cesari, “avere un modello è difficilissimo, ma dall’altra è una fortuna. Mencarelli, il ‘poterlo attraversare’, è stato importantissimo per un mio passaggio personale, per la mia crescita umana. Ho un modello di riferimento a cui attingere”.
Nel cast s’annoverano antichi e neonati ruoli, interpretati da Valentina Romani, Vittorio Viviani, Samuel Di Napoli, Marco Todisco, Andrea Pennacchi, Vincenzo Crea, Lorenzo Renzi, Vincenzo Nemolato, Alessandro Pacioni, Ricky Memphis, Bianca Nappi, Flaure BB Kabore, Filippo Nigro, Raffaella Lebboroni, Lorenza Indovina, Michele La Ginestra, Arianna Mattioli, Giacomo Mattia, Carolina Crescentini.
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