BERLINO – Una scelta di genere che non fa troppo bene alle donne, quella di Dieter Kosslick. Che apre la 65esima edizione con Nobody Wants the Night di Isabel Coixet, regista catalana già transitata sei volte alla Berlinale. Ma il fatto di essere una veterana non dovrebbe garantire la partecipazione in concorso e neppure il criterio delle quote rosa, anche se per trovare un’altra apertura al femminile bisogna risalire all’ormai lontano 1995 quando l’onore toccò a Das Versprechen della tedesca Margarethe Von Trotta.
Il festival non è ancora iniziato e già Nobody Wants the Night – coproduzione tra Spagna, Francia e Bulgaria – ha scontentato parecchi, specie a paragone con la notevole apertura dell’anno scorso, affidata a Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Diretto da una regista catalana, recitato in inglese da un’attrice francese (Juliette Binoche) e da una giapponese (Rinko Kikuchi) nel ruolo di una giovane inuit, è girato in Bulgaria e a Tenerife, in teatro, e con qualche puntata all’aperto in Norvegia, simulando la Groenlandia e il Polo Nord. Meta della spedizione di Josephine Peary, una signora dell’alta società americana che nel 1908 decide di raggiungere il marito Robert, esploratore artico. Nonostante tutti la sconsiglino, la donna, testarda e innamoratissima del marito, parte su slitte trainate da cani, portandosi dietro bauli di vestiti eleganti, bicchieri di cristallo e persino un grammofono, insieme a due guide eschimesi e a un irlandese esperto di quei territori inospitali (Gabriel Byrne) che presto ci lascerà le penne. Slavine, orsi polari, ghiaccio friabile e la notte perenne col suo gelo omicida che distrugge il corpo e la mente sono le minacce tangibili sul percorso della donna, che dovrà anche fare i conti con un tradimento dell’adorato consorte.
Impellicciata e dolente, Juliette Binoche restituisce la determinazione che sconfina con la follia di Josephine Peary sullo schermo, mentre in conferenza stampa spende parole di miele per la regista che considera una pittrice, con la cinepresa al posto del pennello. “Si mette dentro ciò che accade davanti a lei e lo affronta. Non le piace dare ordini ma lascia che le cose accadano davvero. Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato a Ingmar Bergman, che ha mostrato in modo molto bello le donne, senza spaventarsi della sua parte femminile”, dice la cinquantenne attrice, che abbiamo appena visto straordinaria in Sils Maria e che ricordiamo proprio qui a Berlino in Camille Claudel 1915 di Bruno Dumont, nel 2013.
Per Isabel Coixet era inevitabile dedicarsi anima e corpo al copione di Miguel Barro, che considera addirittura il migliore mai letto. “E’ uno scrittore di grandissimo talento e nessuno aveva ancora mai raccontato la storia della conquista del Polo Nord dal punto di vista delle donne, come del resto per molte altre cose del mondo. Josephine era un personaggio speciale e l’unica che poteva interpretarla era Juliette Binoche”. Stuzzicata, ovviamente, sulle difficoltà che le donne incontrano nel mondo del cinema, è piuttosto tagliente nel rispondere: “Adesso va di moda parlarne. Ma perché tutti si riempiono la bocca sull’assenza delle registe e nessuno fa niente? C’è bisogno di fatti concreti, di finanziatori, di soldi. Siamo una minoranza e una minoranza in calo. Guadagniamo meno degli uomini. Io non smetterò mai di battermi per fare film, il cinema è la mia vita, l’ho amato da quando i miei genitori mi hanno regalato una super8. E allora non pensavo affatto che essere una donna mi avrebbe svantaggiato. Invece sì. Ce l’ho fatta non perché sia coraggiosa, ma perché sono molto, molto testarda. E’ un miracolo se ho fatto 11 film. Ma se per qualsiasi regista al mondo la strada è lastricata di ostacoli, per una donna gli ostacoli sono tremendi. Vorrei solo avere gli stessi impedimenti dei colleghi uomini. Sono la seconda donna che inaugura la Berlinale dopo Margarethe Von Trotta? Bene, ma l’importante è che non sia l’ultima”, dice Coixet, che ha scelto di far raccontare la storia di Josephine da una voce fuori campo maschile “perché – afferma – il mondo è una mescolanza dei due generi. E ammette di avere tra i suoi punti di riferimento Jack London, ma soprattutto Nanuk l’eschimese, il leggendario documentario di Robert Flaherty del 1922.
E’ ancora Juliette Binoche a raccontare del suo personaggio. “Era di origine tedesca e inglese, aveva avuto una buona educazione, era una donna colta, raffinata. Una donna occidentale, piuttosto rigida, che va a scoprire la natura al suo stato puro. In un luogo tanto inospitale, diventa finalmente un essere umano. Scende dal piedistallo e perde il suo straordinario orgoglio. Nessuno vuole la notte vuole dire che nessuno vuole andare in questi luoghi oscuri, ma bisogna per forza passare di lì”.
Intanto da stasera sarà al lavoro la giuria guidata da Darren Aronofsky, che ha rivendicato il lato soggettivo di valutare i film del concorso. Il regista americano è già stato giuria alla Mostra di Venezia. “Ho una certa esperienza e so che il giudizio sui film è soggettivo e i premi riflettono le giurie”. Vincitore del Leone d’oro con The Wrestler, Aronofsky sarà affiancato da altri sei giurati: l’attrice francese Audrey Tautou (Il favoloso mondo di Amelie e Coco Chanel), l’attore tedesco Daniel Bruehl (Good Bye Lenin, Inglourious Basterds), la produttrice americana Martha De Laurentiis, vedova del grande Dino, il regista sudcoreano Bong Joon-ho, la regista peruviana Claudia Llosa vincitrice di un Orso d’oro con La teta asustada, e il regista, sceneggiatore e produttore Usa, Mattew Weiner. Martha De Laurentiis, presente nel 2014 al Festival nella giuria dei Giovani Talenti, ha sottolineato di essere “rimasta molto impressionata dagli investimenti della Berlinale e dell’Europa nel settore. Già solo il numero dei film che vengono mostrati è incredibile”.
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