Donato Carrisi: “Farei volentieri la regia di ‘Palpebre’, il romanzo di Gianni Canova”

Giorgio Gosetti nel ruolo di "giudice arbitro" dell'incontro tra Gianni Canova e Donato Carrisi: del primo è recentissima la riedizione del suo romanzo uscito 13 anni fa, e adesso arricchito anche con la prefazione di Pupi Avati; del secondo è appena stato pubblicato 'L'educazione delle farfalle'


MILANO – “I nostri due contendenti” così Giorgio Gosetti – co-direttore del Noir in Festival, con Marina Fabbri – presenta, ponendosi da “giudice arbitro”, Gianni Canova e Donato Carrisi.

“Sono due romanzi che non vi aspettate, da entrambi”, così il Direttore introduce Palpebre, di cui è autore Canova, e di cui è recentissima la riedizione: era il suo romanzo di debutto uscito 13 anni fa, adesso arricchito con la prefazione di Pupi Avati; mentre di Carrisi è appena stato pubblicato L’educazione delle farfalle.

La prima battuta “in campo” è di Canova, che comincia raccontando la sua esperienza di lettore, riferendosi al romanzo dello scrittore pugliese, nonché lo scrittore di thriller più venduto al mondo: e così scopriamo qualcosa delle abitudini di lettura del Rettore dell’Università IULM: “venerdì sera ho cominciato a leggere L’educazione delle farfalle, 500 pagine, e mi sono fermato stamani – domenica – alle 11, alle ultime 50, perché non volevo finisse: è una cosa diversa da quella che ti aspetteresti da Donato Carrisi. C’è una frase, nel libro: ‘i libri sono come le persone, spesso non sono come te li aspetti, spesso come le persone contengono dei segreti’ e credo che questa sia una sorta di autoanalisi di come lui in questo libro si riveli, non come forse atteso dal lettore”.

Carrisi rilancia ammettendo che “colpevolmente non sapevo di Palpebre, che già dal titolo ha una capacità di sintesi che affascina. Di Gianni Canova io conservo ancora una prima email, che mi mandò al tempo de Il suggeritore (romanzo, 2009): una sorta di benedizione da parte di un’icona, anche per il suo modo di raccontare, esemplare. È difficile che qualcosa mi colpisca da subito ma Palpebre, alla fine della lettura, ha un aspetto che subito lo definisce, è una chicca: sono diventato scrittore di thriller leggendo Connelly e guardando Il silenzio degli innocenti, film casuale dapprima, perché spunto per un invito universitario, la scusa all’innamoramento per una compagna e così, come quel ricordo, anche questo libro è una chicca nel senso che dopo averlo letto lo vuoi conservare, è un romanzo capace di andare oltre le pagine. Io, da regista, farei volentieri la regia di Palpebre“.

“Il mio è un romanzetto, non sono uno scrittore, avevo un’urgenza di scriverlo in quel periodo”, commenta Canova.

E la curiosità di Carrisi domanda: “ma l’idea, da dove è venuta?”.

Canova ricorda che: “…il romanzo è ambientato nel 2004, a Milano – come L’educazione delle farfalle, fa notare – e dopo la pubblicazione ricevetti due tipi di commenti, chi era entusiasta, e chi era inorridito con anche minacce di morte, perché se tu porti realismo e horror nei luoghi riconoscibili crei un trauma, talvolta inaccettabile. L’urgenza di scrivere nasce dalla volontà di fare un romanzo che ci portasse a capire la fascinazione del male; come dice Susan Sontag, una delle mie autrici predilette, viviamo in un’epoca in cui ci soddisfiamo di più a vedere corpi che soffrono, piuttosto che corpi che godono“.

“Io credo la letteratura debba stuzzicare e risvegliare gli istinti più segreti delle persone”, afferma Carrisi, per cui “prima o poi certi demoni si manifestano, irrompendo o anche restando in silenzio, e comunque sia ci dobbiamo fare i conti. Io, per raccontare le mostruosità, mi sono sempre rifatto ai sentimenti. Si crea un cortocircuito tra orrore e compassione e con Palpebre ho capito che Canova volesse raccontare l’oscuro e il carnale: da qui nascono le storie che più ci attraggano”.

Nel corteggiante ping pong tra i due, parola adesso al Professore, per cui, secondo il sistema di attese che un lettore ha verso Carrisi, “qui ci sono i segreti dentro la maternità. E fa uno strip tease di se stesso, questo romanzo, che racconta anche come dovrebbero essere scritti questi tipi di racconti, e penso a pagina 303, citando a memoria: richiedono una scrittura scorrevole, non ci deve essere un monumento all’autore, e il finale dev’essere aperto, che sia il lettore a trarre le conclusioni, lasciando chi legge di essere un soggetto attivo; criteri, questi tre, rispettati ne L’educazione delle farfalle. Io, quando vado al cinema, tendo a entrare in sala col minor numero di informazioni possibili sul film, e deve succedere anche con un romanzo così, in cui la copertina suggerisce indizi ma poi basta, devi solo aprire e sprofondare dentro l’altrove, finché, quando muore uno dei personaggi principali, il lettore va anche in lutto”.

“Ho notato una cosa: negli ultimi anni il Noir è cambiato profondamente”, riflette Carrisi, per cui “il Crime è quasi morto, tanto che sta scivolando verso il Grottesco – che io non amo –, come nel cinema con le trasposizioni di Agatha Christie fatte da Kenneth Branagh; e sta arrivando una nuova ondata di thriller basata sull’orrore o sui sentimenti e il melodramma. Non c’è un’idea precisa di dove si stia andando”.

“Non c’è un tirante sociologico collettivo”, per Gosetti.

“Prima il Noir era lo specchio della vita reale, adesso quest’ultimo è talmente efferato che noi scrittori non riusciamo a rifletterlo e dobbiamo raccontarlo raggirandolo, e mi spaventa il politicamente corretto che si sta battendo sul nostro genere, in maniera anche molto violenta. Il mio personaggio di Serena, che dapprima non vuole essere madre, è un personaggio che nasce dall’incontro con una serie di madri”, continua lo scrittore.

Affermazione, quella di Carrisi, supportata ancora da Gosetti che ammette: “da maschietto, entrare nella testa di una madre come Serena, non è semplice, ed è spettacolare come lui ci riesca“.

“L’autore non crea, media”, risponde l’altro.

“La cosa interessante è la pluristratificazione dei punti di vista su uno stesso tema”, secondo Canova, che domanda a Carrisi: “e… i luoghi, o i non-luoghi dei tuoi romanzi, in questo caso con elementi primordiali, come la neve e il fuoco?”.

“Io sono uomo di collina, nato nelle Murge: l’idea che al centro dell’Europa ci siano le Alpi, però, è una cosa strana, unica e irripetibile, e nelle valli alpine – durante la stagione turistica – gli abitanti sembrano aperti e ospitali, poi come quella finisce c’è il contrasto, e subentra la diffidenza; tutti i luoghi di montagna hanno una magia“, secondo lo scrittore pugliese, che sul titolo del suo romanzo, aggiunge: “mio figlio, guardando un documentario, mi chiese: ‘ma una farfalla sa di essere stata bruco?’, così, quando ho scritto questo libro, mi è tornata in mente e mi sono chiesto: ‘ma una madre, sa cosa è stata prima di essere madre?’. E poi c’entra l’Effetto Butterfly di Lorenz, applicabile anche alla vita umana; le farfalle vengono al mondo con qualcosa che non è istinto, è qualcosa di più, e io questo l’ho connesso alla genitorialità”, un sentire che per la scrittura di quest’ultima opera l’ha portato a leggere, sul tema “la Fallaci, che già mi aveva colpito e molto mi ha aiutato nella costruzione di Serena”.

Gosetti, infine, va a sfumare con un gioco: propone al Carrisi-regista di immaginare un’interprete per una possibile versione cinematografica di Palpebre, e al Canova-lettore di immaginare un’attrice che sul grande schermo potrebbe essere Serena. “Per Mia ci vuole un’attrice che sembri una cosa ma si riveli tutt’altro: Francis McDormand, se avesse una carica erotica più potente, che ha un po’ accantonato; allora rispondo con ‘un Frankenstein’: sicuramente Faye Dunaway, con la recitazione di McDormand”, afferma lo scrittore; mentre il Professore, ricorda che “Serena si autodefinisce ‘squalo biondo’, per cui per la prima parte una Cameron Diaz ma poi… non so quanto lei potrebbe andare a vivere all’Ortica”, quartiere storico e popolare di Milano.

 

 

 

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