Disco Boy: “Un film senza passaporto”

L'opera prima di Giacomo Abbruzzese, unico italiano in concorso a Berlino, uscirà al cinema il 9 marzo distribuito da Lucky Red


BERLINO – Aleksei, bielorusso in fuga, attraversa il confine clandestinamente con il pretesto di una partita di calcio e giunge a Parigi dove si arruola nella Legione Straniera. Un corpo militare che accoglie chiunque senza indagare sul suo passato e che garantisce un passaporto francese e una nuova identità. La Legione ti rende francese “non per il sangue ricevuto ma per quello versato”. Nel Delta del Niger, Jomo si batte contro le compagnie petrolifere che hanno devastato il territorio, mentre la sorella Udoka desidera solo cambiare radicalmente vita. I due fratelli sono uniti da una singolare caratteristica, hanno occhi diversi l’uno dall’altro, occhi penetranti e inquietanti che lasciano il segno. Un segno che Aleksei riconoscerà come proprio incontrando Jomo nel buio di una foresta e Udoka nel buio di una discoteca.

Ma al di là della trama, ciò che conta in Disco Boy di Giacomo Abbruzzese – unico italiano in concorso alla 73ma Berlinale – è l’aspetto visivo e visionario, costruito anche grazie alla fotografia potente e insinuante di Hélène Louvart. La struttura antinarrativa e ipnotica, “sciamanica” come dice l’autore, con un peso specifico rilevante, ricco di densità, segnalano un nuovo talento che si muove a suo agio in Europa benché sia italiano per nascita ed educazione.

E’ proprio la componente visiva a colpire, tra l’altro le scene nella giungla sono girate con una camera termica, come le riprese militari nelle operazioni notturne. “Lavorare con Hélène Louvart – chiarisce Abbruzzese – è stata una scelta artistica vera e propria: nei suoi film, la luce è sempre in movimento, non c’è mai il sentimento di qualcosa di troppo posato”.

Nato a Taranto nel 1983, Abbruzzese si è diplomato in Francia a Le Fresnoy. Con i suoi cortometraggi ha ottenuto nomination e premi in vari festival internazionali. E’ stato artista residente alla Cinéfondation di Cannes. Nel 2022 ha ricevuto una nomination ai César per il suo documentario America.

“Era da tempo – spiega il regista, che ha tra i suoi punti di riferimento Apocalypse Now, Scorsese, Fassbinder, Pasolini, Kubrick e Godard – che volevo realizzare un film di guerra atipico, un film in cui l’altro esistesse veramente e non fosse semplicemente un nemico o una vittima. Un progetto molto ambizioso e costoso per un primo lungometraggio, infatti ci sono voluti dieci anni tra ricerche, scrittura, finanziamenti, realizzazione. Il film però è rimasto molto vicino a come l’avevo immaginato all’inizio: la storia di un bielorusso che attraversa l’Europa, arriva a Parigi e si arruola nella Legione Straniera, e poi la storia del suo antagonista, che si batte per difendere il suo villaggio in Nigeria dallo sfruttamento petrolifero. Nel profondo è la storia di una metamorfosi, di una comunione con l’altro, che apre alla fine verso un’utopia”.

Abbruzzese parla di come è nata l’idea. “Viene da una conversazione che ebbi con un ballerino in una discoteca: mi disse che prima era stato un soldato. La cosa mi colpì molto anche per via dei punti di contatto inattesi tra queste due realtà: la grande disciplina, una sorta di piacere per lo sforzo estremo, il bisogno di arrivare a fine giornata completamente esausti. Aleksei, il protagonista, nasce da questa idea: un soldato che diventa ballerino, compiendo quello che era il sogno del suo nemico”. Un elemento centrale del film è la lotta contro l’inquinamento e l’ecoterrorismo:  “Mi sono interessato al movimento attivo nel Delta del Niger, uno dei luoghi più inquinati del mondo, una quindicina d’anni fa – spiega Abbruzzese – sono cresciuto a Taranto, dove l’ambiente è altrettanto devastato. Il MEND è uno dei primi movimenti ecoterroristi al mondo, all’inizio si trattava di un movimento pacifista il cui leader fu ucciso in carcere. Dopo la sua morte, il gruppo si è armato e ha cambiato approccio. Nei video e nelle interviste emerge un discorso politico lucido, che mi ricorda un po’ Thomas Sankara, leader carismatico del Burkina Faso. Una domanda che mi pongo sempre nei miei film è: fino a che punto ci si può spingere con la violenza per ragioni che si ritengono giuste?”.

Un film in qualche modo apolide, che conta su una coproduzione tra Francia, Italia, Belgio, Polonia e che parla di Legione Straniera. “Mi è parsa il luogo ideale, al contempo mitologica e assolutamente reale – prosegue Abbruzzese – si accoglie lo straniero, si dimentica il suo passato e gli si offre la possibilità di riscrivere la propria vita. Una sorta di patto faustiano. Non tanti anni fa, anche i terroristi italiani – sia rossi che neri – hanno trovato rifugio nella Legione Straniera in Francia. Si ricomincia da zero e si cancella tutto sulla carta, a livello ufficiale, ma il proprio passato comunque rimane: dentro di sé, nelle proprie azioni, proiettato nei conflitti e nella guerra. Dietro tutto questo c’è qualcosa che sento molto vicino, dal momento che sono tanti anni che non vivo più nel mio Paese. Non volevo raccontare o descrivere questo aspetto personale in modo realistico, ma portarlo all’estremo attraverso questa storia, e nella realizzazione stessa del film. Disco Boy è un film senza passaporto, realizzato da persone di una quindicina di nazionalità diverse, tra cast artistico e troupe… Quasi nessuno degli attori recita nella propria lingua nativa. È una scelta artistica che dà tutta un’altra musicalità e che inscrive l’alterità nell’uso stesso della lingua”. Protagonista è Franz Rogowsky, un attore che si muove tra la natìa Germania (Undine, La donna dello scrittore) e Italia (Freaks Out), qui nel cast anche di Passages a Panorama: “Avere lui era indispensabile per me – spiega il regista – perché recita con tutto il corpo e riesce ad esprimere violenza e interiorità nello stesso tempo. Lo volevo da prima che diventasse famoso, lo avevo visto in Victoria nel 2015″. E Rogowsky ammette di aver inizialmente detto di no al ruolo, per timore che la produzione non fosse quella adatta a un progetto così indipendente e atipico. 

Fondamentali le musiche di Vitalic: “Sognavo sin dagli inizi di coinvolgere Pascal Arbez-Nicolas, alias Vitalic: la sua musica era esattamente quello che cercavo per il film, qualcosa di abissale, a volte soffocante, a volte lirica, quasi malinconica. I pezzi che ha composto erano perfetti, è riuscito ad arrivare al cuore dell’atmosfera che cercavo. Usciranno il singolo a marzo e l’album ad aprile”. 

Co-prodotto dall’italiana Dugong Films (leggi l’intervista), è interpretato oltre che da Rogowski, dall’esordiente Morr Ndiaye, dall’artista attivista Laëtitia Ky e da Matteo Olivetti (La terra dell’abbastanza), Disco Boy uscirà il 9 marzo con Lucky Red solo in versione originale sottotitolata. “Ogni personaggio – insiste Abbruzzese, che per il suo prossimo progetto, Il politico, prevede di girare a Taranto – recita in una lingua che non parla e tutti hanno imparato il proprio testo a memoria. Per me che amo Kafka il riferimento è alla sua reinvenzione della letteratura attraverso un uso diverso, personale, del tedesco. Spesso le minoranze sono chiamate a fare la storia”. 

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