Palermo, 2015. Leonardo, diciannovenne inquieto, lascia la sua città natale per raggiungere la sorella a Londra e intraprendere gli studi di Business. Tuttavia, l’entusiasmo iniziale si dissolve rapidamente. In preda all’incertezza, si iscrive d’impulso all’Università di Siena per studiare letteratura, ma ben presto abbandona anche questo percorso. Decide allora di dedicarsi autonomamente alla lettura e allo studio della “bella lingua” italiana.
Quello che segue è un anno accademico segnato dalla solitudine, da rare e insolite interazioni sociali e da riflessioni profonde sul confronto generazionale. Un anno dopo, Leonardo si trasferisce a Torino, dove incontra un uomo, un semi-conoscente della sua famiglia, con cui avrà un confronto più diretto e significativo del solito.
Diciannove di Giovanni Tortorici è al cinema dal 27 febbraio con Fandango.
“Un’indagine su un ragazzo di 19 anni e un’analisi del suo vivere e del suo essere studente – lo definisce il regista – Leonardo viene inizialmente presentato come un ragazzo a volte goffo, ma seguace di un vivere conformista. A mano a mano che la storia si sviluppa, emerge la sua natura asociale e nevrotica, sublimata nell’ossessione di una rigida idea di letteratura e del desiderio di essere scrittore”.
Tra Leonardo e il mondo che lo circonda il rapporto è dialettico ma non semplice. Lui non si omologa, non si riconosce negli altri, ogni volta che è chiamato a tradire la sua intimità si ritrae nella sua tana. Però tutto questo non è frutto di misantropia.
“No – spiega ancora Tortorici – è piuttosto incapacità di riuscire ad adattarsi allo stile di vita degli altri. Rinchiudersi nell’isolamento e nello studio rappresenta anche una forma di protezione nei confronti di sé stesso.È un modo per evitare tutte le delusioni che possono derivare dall’incontro con gli altri. C’è immaturità e sofferenza”.
“L’evasione di Leonardo è un palliativo – specifica l’autore – Il suo essere maniacale nello studio e nell’isolamento lo portano, come uno struzzo, ad affondare la testa sotto terra, a non affrontare realmente le sue paure. A 19 anni non ha ancora la consapevolezza necessaria per rendersi pienamente conto delle cose: sublima, devia gli impulsi in qualcosa di alternativo. Ma questa non è una forma di libertà. A 19 anni credo fossi anche io nevrotico, ma come penso lo siano un po’ la grandissima parte dei diciannovenni. In qualsiasi forma di società si cresce in strutture e, anche crescendo, non è detto che ci si liberi completamente dalle proprie nevrosi, anzi. Come il personaggio di Leonardo, sublimavo”.
Circa le sue influenze, chiude Tortorici: “Il mio primo amore è stato la letteratura, sognavo di fare lo scrittore. Guardando il mondo attraverso le lenti della letteratura, ho iniziato ad amare molto il Neorealismo. Era un cinema che, in qualche modo, mi confortava perché molto letterario. Quando sono passato a categorie di giudizio più cinematografiche, mi sono appassionato al cinema più puro: i Poliziotteschi, la Nouvelle Vague, gli horror italiani degli anni ‘60 e ‘70, i film di Hong Kong”.
Il film è prodotto da Luca Guadagnino.
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