Alla nascita della civiltà c’è Leonardo DiCaprio nel ruolo che potrebbe finalmente regalargli il tanto sospirato Oscar dopo cinque candidature andate a vuoto. L’attore dà tutto se stesso in Revenant Redivivo, in un ruolo quasi muto in cui per metà film è in fin di vita dopo l’attacco di una imponente orsa Grizzly che l’ha semisbranato. L’esploratore Hugh Glass è un uomo solo – dopo che il traditore Fitzgerald (un bravissimo Tom Hardy) gli ha ucciso il figlio adolescente avuto con una donna pellerossa – un uomo che lotta con ogni mezzo contro la natura selvaggia, il gelo dell’inverno, la fame disperata e le ferite che rischiano di andare in cancrena, ma soprattutto contro la malvagità degli uomini. E’ guidato da un intento di vendetta ma anche dal nudo e crudo istinto di sopravvivenza. Si ciba delle interiora di un bufalo appena ucciso dai lupi insieme a un altro sopravvissuto, un indiano che poi gli salverà la vita. Azzanna pesci crudi e si ripara dalla neve dentro la pelle di un cavallo morto che ha svuotato degli organi interni a mani nude. Una prova fisica notevole ma anche un testo da decodificare: e si direbbe che il messicano Alejandro Gonzalez Inarritu, regista dal temperamento filosofico (anche ora che non c’è più lo sceneggiatore Guillermo Arriaga al suo fianco) abbia voluto proprio cimentarsi con la nascita del contratto sociale e il superamento dell’homo homini lupus mostrandoci una frontiera americana primordiale (siamo nel 1823) dove è ancora del tutto incerto l’esito della lotta tra la legalità e la legge del più forte, ma dove si finisce per ammettere che “la vendetta è nelle mani di Dio”.
Ora attore e regista sono a Roma, in contemporanea con l’uscita italiana del film (500 copie con 20th Century Fox). Un bagno di folla – molte le adolescenti evidentemente ancora sotto effetto-Titanic – e le rigide misure per gestire una conferenza stampa dove era severamente proibito non solo scattare foto, ma persino valicare i cordoni del servizio d’ordine, confermano lo status di divo del 41enne attore che non si scompone mai. Neanche di fronte al miraggio dell’Oscar. ”Ci ha entusiasmato la grande attenzione data al film dall’Academy – dice, parlando al plurale – ma non sono gli Oscar a motivarmi. Quando sei su un set non pensi a vincerne uno ma speri di fare un’opera d’arte che resti nel tempo”. E poi aggiunge: “Mi auguro che le 12 candidature portino più gente a vedere il film e convincano gli studios che vale la pena rischiare su progetti coraggiosi come questo”.
Progetto complesso e impegnativo, con set in condizioni atmosferiche spesso proibitive, che hanno richiesto un anno di lavoro, Revenant Redivivo cattura, grazie alla plumbea e ispirata fotografia di Emmanuel Lubezki, detto “Chivo”, una natura maestosa e tragica che fa pensare a un altro film su esperienze estreme di sopravvivenza come Into the Wild. “Con Chivo – racconta Inarritu – ci conosciamo da quando avevamo 20 anni, abbiamo fatto corti e pubblicità insieme e poi Birdman“. I due hanno sviluppato il progetto passo passo, “l’ho coinvolto da subito, abbiamo esplorato l’idea filosofica e la visione del film. Ogni movimento è stato progettato sei mesi prima, sia negli aspetti visivi che in quelli drammaturgici. Alcuni usano lo storyboard, noi andiamo sulla location e giochiamo con i movimenti di macchina che vogliamo utilizzare. Cerco di coreografare tutto prima”. Anche DiCaprio si sofferma sulla fisicità della macchina da presa: “Per il pubblico è un’esperienza incredibile vedere il sangue che schizza sull’obiettivo della macchina da presa o il fiato che appanna le lenti, questo crea una vicinanza e fa percepire a livello viscerale quello che il mio personaggio sta vivendo. Alejandro e Chivo ti fanno entrare in questo mondo come in un docu-drama o nel neorealismo, i sentimenti profondi e intimi e l’epica del paesaggio si fondono perfettamente. Non avevo mai visto niente di simile”.
Inarritu, che è partito dal libro di Michael Punke The Revenant: A Novel of Revenge, pubblicato nel 2002 sulla base di resoconti dell’epoca, racconta di aver cercato una fusione tra documentario ed epos. “Volevo che animali e paesaggi apparissero in modo molto reale, come se lo spettatore fosse lì, cinque anni fa, prima di Birdman, non avremmo avuto questo risultato perché la tecnologia non ce lo avrebbe permesso. Adesso ci siamo riusciti e qualcuno ha coniato un gioco di parole, National Leographic”.
A DiCaprio chiedono cosa gli ha lasciato il personaggio di Hugh Glass. “La storia di Glass è una di quelle che venivano raccontate intorno al fuoco, era un uomo della nuova frontiera e aveva a che fare con la natura, che l’essere umano cercava di dominare, con la sopravvivenza e anche con un’umanità dominata dall’avidità, tanto da saccheggiare l’ambiente e le risorse, danneggiando anche gli indigeni che venivano sacrificati in questo processo di conquista”. Da ambientalista convinto e attivo, quale è, non può evitare un parallelismo con il presente. “Il 2015 è un anno cruciale per l’ambiente e per me, è stato l’anno più caldo di sempre, io ho prodotto un documentario sull’argomento (ancora inedito, ndr) mostrando quanto la natura sia fragile. Ora qualcosa si muove e con il Cop21 di Parigi i paesi del mondo si sono messi insieme per cercare di fare qualcosa per combattere il cambiamento climatico e il surriscaldamento globale. In certe zone anche un grado in più può devastare la vita”.
Revenant – Redivivo viene considerato un western. Ma Inarritu corregge il tiro: “Più che ai grandi western ho pensato a film come Andrej Rublev, Dersu Uzala, Aguirre e Fitzcarraldo o Apocalypse now. E’ lì che ho trovato ispirazione. Non è un western, perché ha a che fare col viaggio fisico e spirituale di un uomo in un’epoca in cui il West non esisteva ancora. In tutti i film che ho citato, oltre all’epica, c’è anche la dimensione spirituale e qualcosa di intimo”. Mentre per DiCaprio siamo quasi alla fantascienza. “Non c’erano storici a documentare quei momenti di conquista in un paesaggio incontaminato, se non i diari di alcuni di questi uomini, cacciatori di pelli, e le storie degli indigeni, ricreare quello che accadde a Hugh Glass è quasi fantascientifico. Questi uomini erano in grado di sopravvivere con quello che trovavano in natura e questo ha qualcosa di spirituale. Ma noi ci siamo arrivati per istinto: Alejandro ha creato l’esperienza diretta di un uomo che persevera contro tutte le avversità, ripercorrere quello che aveva vissuto ci ha permesso di toccare la sua profondità”. Del resto la sopravvivenza ha sempre a che fare con le risorse spirituali dell’uomo.
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