BERLINO – La Bond Girl Léa Seydoux è stata trattenuta a Londra all’ultimo istante. “E’ prigioniera di Spectre, e siccome hanno avuto problemi sul set, non l’hanno lasciata partire. A James Bond auguro tutto il peggio”. A parlare è il regista Benoit Jacquot, in concorso a Berlino con Diario di una cameriera. Il terzo adattamento del romanzo di Octave Mirbeau (pubblicato nel 1900) è costruito proprio sulla limpida bellezza dell’attrice francese, protagonista de La vita di Adele, in un voluto e insistito contrasto tra la sua grazia naturale e la bassezza di tutto ciò che la circonda (anche se il regista aveva pensato anche a Marion Cotillard per il ruolo).
Certo, dopo le due versioni di Jean Renoir (1946) e Luis Bunuel (1964) era difficile dire qualcosa di più. “Ammiro quei due film, ma li trovo completamente diversi tra loro e anche lontani dal romanzo, a cui invece mi sono riavvicinato attingendo alla sua grande ricchezza”, spiega il regista di Les adieux à la Reine e Trois coeurs. E aggiunge: “Non ho mai pensato a questi illustri precedenti, che conosco bene. Sono cinefilo e faccio cinema perché amo certi film e certi registi, ma quando giro le mie opere cerco di dimenticarli”.
Il progetto nasce proprio dalla lettura del libro, su consiglio della sceneggiatrice Hélène Zimmer. “Mi sono convinto che in quel periodo sia nata la civiltà in cui viviamo oggi, almeno in Francia. I rapporti di lavoro, le relazioni tra i due sessi, la politica, l’ideologia, persino l’antisemitismo moderno, tutto comincia durante la cosiddetta Belle Epoque, in quegli anni prima della prima guerra mondiale apparentemente così piacevoli, che sono anche gli anni dell’Affaire Dreyfus”. Così Jacquot insiste molto sull’antisemitismo di Joseph (Vincent Lindon), il ruvido giardiniere da sempre al servizio di Madame Lanlaire. Nella sua dimora borghese, dove l’argenteria sembra essere la cosa più importante, arriva da Parigi la giovane e ribelle Célestine, perseguitata dalle avances dei suoi datori di lavoro che la portano a lasciare un posto dopo l’altro. “Célestine – spiega ancora il regista – viene dalla miseria più nera e la sua esistenza è caratterizzata dal desiderio di sfuggire alla sua condizione. Ma in quella classe sociale e in quel mondo non si può sfuggire al male se non andando verso il peggio”.
La giovane cameriera, vessata da una padrona capricciosa e maldisposta, molestata dal laido padrone, concupita dal vicino di casa, un militare in pensione che convive con la sua fantesca, finisce per legarsi a Joseph, nonostante lo sospetti di aver stuprato e ucciso una bambina del villaggio. E accetta persino la sua proposta di aprire insieme un bordello per militari a Cherbourg. “Dalla sua situazione terribile non può uscire se non attraverso il crimine. E del resto ha due sole alternative: essere cameriera e quindi schiava oppure prostituta, ma almeno in quel modo sarà padrona”. Per la produttrice Kristina Larsen questo è “un film marxista e femminista”, per la Berlinale un nuovo capitolo di una sorta di storia a puntate del protagonismo femminile, raccontato attraverso le eroine di inizio secolo.
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