Parigi. European Film Academy. Un’istituzione molto più giovane – circa dieci anni di vita – della sorella americana; e anche molto diversa. I premi che i suoi circa mille votanti conferiscono ogni anno al miglior film, attore, attrice, ecceter, non si chiamano Oscar, sebbene molti finiscano per chiamarli “Oscar europei” perché non sono stati ancora più originalmente battezzati. Quest’anno li hanno vinti il danese Lars Von Trier con Dancer in the dark, l’islandese Bjork come migliore interprete, il catalano Sergi Lopez protagonista di Henri, un ami qui vous vent du bien, il direttore della fotografia italiano Vittorio Storaro per Goya. Miglior film straniero: il cinese In the mood for love.
Alla consegna dei premi, nella grande sala del Palais de Chaillot, erano presenti il primo ministro Jospin, i ministri della cultura francese e tedesco, la commissaria alla cultura dell’Unione europea, Viviane Reading; attori e attrici di tutti i paesi europei; per l’Italia, Asia Argento e Valeria Golino.
Fuori sotto una pioggia vigorosa, i fan a chiedere gli autografi al mondo dello spettacolo che accedeva al palazzo per la cerimonia. Quasi come a Hollywood, solo che qui a concorrere sono stati trenta paesi diversi, pellicole girate in una moltitudine di idiomi. Non un handicap, in definitiva, ma una ricchezza: perché insegna a rapportarsi con l’altro.
E la nave va
È il titolo felliniano che è stato dato all’Assemblea dell’Academy riunita prima della cerimonia nello splendido décor del teatro dell’Odeon (dove la sera prima era stata proiettata una copia restaurata di Paris qui dort, muto del 1923, firmato René Claire). Una decina di artisti di paesi diversi e diverse generazioni hanno trasmesso le loro riflessioni sul cinema di oggi. Fra il pubblico qualche centinaio di studenti de la Sorbonne che ne ha discusso.
Primo degli intervenuti il presidente dell’Academy, Wim Wenders, ultima la nostra Asia Argento, attrice e regista, anni 24. E fra loro la svedese Liv Ullman, la portoghese Maria de Medeiros, il russo Pavel Longuine, Gabriele Muccino, il francese Dominique Moll (autore di Henri, un ami qui vous vent du bien), l’anziano grande regista ex jugoslavo Dusan Makavejev, Tom Tykwer (Lola corre).
Provocatorio Wenders: “il digitale è una rivoluzione totale, ci costringe a reinventare il cinema dalla A alla Z. Non è come per il sonoro, che è stata una semplice estensione dell’esistente, mentre ora le nuove tecnologie sostituiranno il film quale lo abbiamo conosciuto. Non è solo questione di supporto, di celluloide. Che faremo noi Efa di questa parola cinema?”.
Tutt’al contrario Ullman: “vorrei che tutti i bambini potessero vedere i film come li abbiamo visti noi. Di cinema c’è più bisogno che mai, perché c’è bisogno di punti di riferimento comuni, di condividere emozioni e conoscenze. Come nella sala: soli e insieme. Un film è una visione del mondo, ognuno dovrebbe averne uno nella mano, anziché un fucile”.
Medeiros: “il cinema è come il Buffone di Corte. Pagato per intrattenere il sovrano, ma che diventa anche lo specchio critico del re, colui cui tutto è permesso. In Shakespeare il ruolo del Buffone è fondamentale: non per confortare, ma per gestire lo sconforto. È questo che dà salute alla società”.
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