VENEZIA – Nasce nell’Emilia reggiana di Albinea, da Alma mondina e Guerino casellante: Marta Vacondio – poi Marzotto per il matrimonio con l’industriale tessile Umberto – è stata mecenate, filantropa, personalità che ha segnato dettami della società e delle Arti. Il cinema la celebra con il docu-film breve La Musa Inquieta – Storia di una mecenate che visse più volte di Massimiliano Finazzer Flory, promosso dalla figlia Diamante – che l’ha presentato oggi, 9 settembre, al Lido di Venezia, e lo scorso maggio nell’intervista rilasciata alla rivista 8 ½ (www.8-mezzo.it), che qui riproponiamo.
Diamante, perché ha pensato al cinema per ricordare la sua mamma? Ricorrono i 90 anni dalla nascita: 24 febbraio 1931.
Mia madre è stata riprodotta con la pittura, la fotografia, la televisione, la poesia. È sempre mancato un film-documentario e volevo rappresentarlo dal mio punto di vista, intimo. In tanti mi chiedono di parlar di lei: per paradosso non so dir nulla, così ho avvertito l’esigenza di far qualcosa per lei, e con lei. Spero il risultato piaccia, anche a mia madre!
La regia è di Massimiliano Finazzer Flory.
I suoi lavori hanno una forte carica evocativa e io stessa ho voluto, al Teatro della Cometa di Roma, il suo avveniristico e coraggioso Verdi legge Verdi – con la partecipazione del coro del Teatro San Carlo di Napoli – per festeggiare mia madre. Diverse altre sono state le occasioni d’incontro: fu proprio Finazzer, quando assessore alla Cultura di Milano, che a Palazzo Morando, per gli 80 anni della mamma, promosse una mostra sulla sua ‘atipicità’. Molte, dunque, le circostanze che ci hanno fatti incontrare ma l’illuminazione l’ho avuta durante il primo lockdown, dopo aver visto il suo toccante Ali Dorate (docufilm dedicato all’amata Milano in tempo di pandemia) e d’impulso l’ho chiamato: ‘sai che c’è? Facciamo insieme il docu-Marta!’. Massimiliano conosceva bene la mamma, ma gli mancavano elementi personali che solo io, a lei molto simile seppur completamente diversa, potevo fargli conoscere. È stata un’avventura motivante e stimolante, abbiamo parlato moltissimo di lei, del suo mondo e del suo ‘modo’, la sintonia si è creata subito. Abbiamo cercato di rappresentarla in maniera credibile, anche se lei era incredibile.
Il titolo scelto, come sintetizza la natura di sua madre?
La mostra organizzata a Milano era intitolata La Musa Inquieta: lei ci si riconosceva, per questo abbiamo chiamato così anche il documentario, sentendo quasi la sua approvazione. Mia madre è stata sia musa che mecenate, un caso particolare perché solitamente chi sovvenziona l’artista non è anche fonte d’ispirazione. Una scelta esplicita è quella di riprendere sua madre di spalle, senza rivelarne il volto. Marlon Brando ha girato un intero film di spalle. Il riprenderla di schiena trasmette una sensazione di non raggiungibilità e lei è stata irraggiungibile. Il suo volto appare con un gioco di specchi e di sue immagini passate, dalla televisione a frammenti di girato che diventano flash back: la sua presenza di schiena è una poesia, capace di ripercorrere il bello che lei amava, che così si offre anche a chi guarda; il suo andare lento e riflessivo ci accompagna nei luoghi più significativi e da lei più amati. Noi abbiamo frammenti di riprese reali della mamma, che poi sono andata a compensare io stessa, ma naturalmente non avrei potuto improvvisamente girarmi e rivelarmi, ma essere la sua controfigura sì. L’idea di introdurre me è stata di Massimiliano, mentre io sono abituata a lavorare dietro le quinte: infatti – per fortuna – ero un’attrice di schiena, altrimenti non sarei stata capace, ma mi sono divertita come una pazza; durante le riprese mi sono resa conto di trasformarmi, così come dietro le quinte ridevo moltissimo, però poi, finito il set, avevo dei crolli: fisici, per gli orari e la fatica, e psichici perché mi si smuovevano delle cose interiori, ma l’avventura complessiva è stata piacevole. Come molto bello è il dirigere di Massimiliano, con l’efficace squadra dell’Image Hunters di Roma: abbiamo potuto coinvolgere anche mio figlio Oliviero, che studia regia, quindi c’è stata una bella atmosfera famigliare, in cui mi piaceva ci fosse anche Carmen al parrucco, la persona che ha sempre curato i capelli alla mia mamma. Nel pensare questo docufilm non sono riuscita a immaginare un film perché ci vorrebbe un’interprete come Meryl Streep, ma spero qualcuno abbia le possibilità di farlo: è una vita che merita.
Dalla Sardegna a Marrakech a Venezia: ci sono luoghi iconici, protagonisti del film, che ‘sono appartenuti’ a Marta Marzotto, o lei ‘è appartenuta’ a loro?
Mia madre apparteneva a questi luoghi e non viceversa ma se avessimo dovuto realizzare una cronaca delle latitudini e longitudini nelle quali si muoveva, e come ci si adattava, sarebbe stato un film della durata identica alla sua vita: i rapporti con i luoghi sono sempre stati viscerali, che fosse l’affollatissima Piazza Jamaa el Fna o il deserto libico; era maniacalmente attaccata a Marrakech, è stata l’unica casa che non ha mai mollato a nessun costo, un luogo imprescindibile.
Il suo universo era trasversale alle Arti: gli abiti nel film, gli ambienti di casa, le suppellettili, sono originali?
Tutto (o quasi) ciò che c’è nel girato era il suo mondo-modo-moda: abbiamo avuto la fortuna di poter parlare di una donna così eclettica da rendere ‘facile’ la sua rappresentazione; io ho contribuito alla fedeltà della biografia, così tra le mie scelte e la sensibilità registica c’è stata piena sintonia.
Marta Marzotto non è mai stata protagonista al cinema, ricordiamo una piccola parte in Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico di Lina Wertmüller. E’ qualcosa che suona strana, considerata la sua ecletticità: sa dirmi qualcosa in merito? Forse, per personalità, avrebbe potuto fare la regista?
Non saprei, di certo avrebbe creato scompiglio in qualsiasi set! Era così vitale, entusiasta e smaniosa di vivere, che non so se questo le avrebbe permesso di interpretare, o rappresentare, la vita altrui.
Marta amava il cinema? Quale aspetto la affascinava?
Adorava il Cinema e anche l’Opera. Tutte le volte che partecipava ad un festival (non se ne faceva scappare uno, e così le mostre) diventava lei stessa spettatrice spettacolare, forse il segno più adamantino del suo carisma: essere contemporaneamente spettatrice e spettacolo.
Quale destinazione immaginate per il film: un festival, la sala con un evento, un canale tematico?
Non ci precludiamo nulla, pandemia permettendo. Certo, la mamma a Venezia ci tornerebbe volentieri… Un’occasione che lei non vedeva l’ora arrivasse: voleva piacere, assaporava il tappeto rosso quanto il film, la passione era talmente tanta che sembrava una bambina. Mia madre ha anticipato ciò che si è reso esigenza: sentirsi a proprio agio e adeguati ovunque, con chiunque, nel nome dell’armonia. Con toni pacati o accesi, con particolari personalizzabili, perciò speciali.
La fotografia che accompagna l’articolo è di Reka Jakabffy
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