SIRACUSA – Da Nisida a Ortigia e ritorno. L’isolotto di Siracusa, per una notte, ha ospitato una storia di formazione ambientata in quello di Napoli, diventato celebre recentemente per avere ispirato la serie cult Mare Fuori. Presentato in competizione al 16° Ortigia Film Festival, Desirè, opera prima di Mario Vezza, è un film ambientato nel carcere minorile di Nisida, lì, dove ai giovani partenopei in difficoltà viene offerta una seconda opportunità.
Nassiratou Zanre interpreta la protagonista Desirè (scritto proprio così, a causa di un errore all’anagrafe), diciassettenne nigeriana che parla un napoletano fluente e che si fa invischiare in un traffico di droga, un po’ per necessità, un po’ per ingenuità, un po’ per amore. Incarcerata a Nisida, troverà un gruppo di giovanissime donne come lei pronte ad accoglierla, non senza difficoltà, e, soprattutto, un gentile insegnante di teatro – interpretato da Enrico Lo Verso – che, facendole indossare i panni di Amleto, la aiuterà a scoprire se stessa. Ma Vezza non regala facili vie d’uscita alla sua protagonista, costringendola ad affrontare l’abbandono, la paura e la disillusione.
Mario Vezza, da dove viene l’idea di questo film e perché hai scelto proprio questo progetto per debuttare in un lungometraggio?
Il film nasce tempo fa, prima del Covid, in un progetto legata alla scrittura creativa all’interno del carcere di Nisida. Facendo qualche intervista e raccogliendo un po’ di materiale è uscita un po’ questa voglia di raccontare la storia al femminile legata all’identità. Ed era un tema che sentivo mi appartenesse.
Quanto è stata centrale l’Isola di Nisida nello sviluppo di questo film?
L’idea di girarlo lì era legata alla voglia di raccontare una storia peculiare, perché Nisida ha degli aspetti molto caratteristici, creava questo senso di isolamento rispetto a quello che poteva essere il sentire dei ragazzi. Poi c’è uno storico, perché è un’isola dove Edoardo De Filippo costruì il suo primo teatro. È stata sempre dedicata all’arte dei ragazzi che la ospitano. È stato abbastanza difficile ottenerla, i tempi sono stati ristretti, ma senza Nisida sarebbe stato un altro film, oltre ad ospitarci è stata una presenza fissa. Siamo stati molto attenti a rispettare quelle che erano le dinamiche, i rumori. Siamo stati accolti e ci siamo immedesimati completamente in quella condizione.
Il mare è un elemento ricorrente del film, cosa simboleggia per la protagonista del film?
L’elemento marino, così come l’acqua, rappresenta la purificazione e simbolicamente anche una sorta di trascendenza in relazione al cambiamento della protagonista. Il mare è visto anche come orizzonte, come qualcosa che sta al di là di quello che vediamo, crea un contrasto, un volere ma non posso. Qualcosa di forte. La protagonista rinasce in mare, un elemento catartico.
In un progetto del genere il casting ha un ruolo decisivo, come hai trovato la tua Desirè?
Nassiratou Zanre, che interpreta Desirè, è stata una ricerca oberosa e difficile. Abbiamo iniziato il casting un anno e mezzo prima delle riprese, ma la ragazza l’abbiamo trovata solo quattro mesi prima. Eravamo quasi al punto di posticipare le riprese perché non avevamo trovato la protagonista. Doveva avere delle caratteristiche fondamentali, che erano quelle di saper parlare il francese, saper nuotare, saper portare il motorino, parlare il napoletano correttamente, doveva essere minuta, esile. Tutte caratteristiche difficili da trovare, ma poi finalmente l’abbiamo individuata e abbiamo fatto un training importante insieme alle ragazze, alcune delle quali fanno parte della scuola di recitazione, che è appendice della casa di produzione CinemaFiction. Negli ultimi mesi abbiamo fatto un lavoro di prove intense, in cui si è creata una condizione di sorellanza, di famiglia tra di loro.
Per quanto riguarda Enrico Lo Verso, quando è entrato nel progetto?
Serviva una figura che venisse da fuori, ma che avesse una dimensione quasi paterna verso le ragazze. Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura ad Enrico e si è subito mostrato interessato, da lì lo abbiamo subito coinvolto, si è prestato anche a delle prove, è stato molto disponibile. E poi ha dato quel suo tocco personale che ha reso tutto meno confezionato. È stato fondamentale anche nel rapporto con i ragazzi, durante il set. Un bel rapporto umano che poi emerge nel film.
Il nome della protagonista, che dà il titolo al film, è scritto sbagliato. Ed è qualcosa che inevitabilmente la caratterizza, tanto che a un certo punto lei deciderà di scriverlo correttamente, con due e. Perché questa scelta?
Il nome ci viene dato, non lo scegliamo. Simbolicamente è un concetto di identità, che ci viene assegnata e che magari non è perfettamente vicina a quella che noi sentiamo appartenerci, in modo viscerale. Filmicamente poteva essere un elemento capace di creare un codice per raccontare questa sua difficoltà nell’esprimere se stessa. Ovviamente quando firma con il nome che doveva avere e che non ha mai avuto stiamo dicendo al pubblico che sta andando verso una direzione di conoscenza di se stessa e di consapevolezza.
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