Denis Côté: i fantasmi dell’Altro

Usa il genere e lo trasforma in realismo sociale il film di Denis Côté Répertoire des villes disparues (Ghost Town Anthology) in concorso alla Berlinale.


BERLINO – Usa il genere e lo trasforma in realismo sociale il film di Denis Côté Répertoire des villes disparues (Ghost Town Anthology) in concorso alla Berlinale. “Mi sono interrogato sui cliché, sul linguaggio e sulla forma, per fare qualcosa che possa essere considerato un horror ma al tempo stesso anche qualcosa di profondamente diverso”, commenta il regista. Il film è un catalogo di paure, dalla resistenza al cambiamento, al timore del sovrannaturale alla paura dell’Altro, raccontato attraverso le vicende di una piccola e isolata cittadina i cui poco più che duecento abitanti vivono cullati dalla routine e dalle loro certezze, circondati da un mare di neve che li isola ma al tempo stesso anche protegge dal resto del mondo. Almeno fino a quando un ragazzo del luogo improvvisamente muore in un misterioso incidente d’auto. Suicidio o disgrazia? I cittadini storditi dall’inaspettato sono riluttanti a discutere le circostanze della tragedia, ma da quel momento per la famiglia del ragazzo e per alcuni membri della comunità, inizia un periodo di sconcerto e incertezza. Qualcosa scende lentamente sull’area e, in questo periodo di lutto e nebbia, gli estranei iniziano ad apparire. Ed è facile vedere in questi ‘altri’ che arrivano e che vengono vissuti come spaventosamente diversi, un riflesso delle attuali vicende politiche legate ai flussi migratori, la crisi dei migranti e, in generale, alla riluttanza ad aprirsi agli altri.

“Ho voluto ricreare nella piccola cittadina isolata una terra di nessuno, una sorta di nazione bastarda, in cui prendono vita differenti forme di comportamento, personali e sociali”, sottolinea il regista. “Mi sento come se le persone oggi avessero paura di perdere il senso di benessere. Questa paura si presenta in vari modi e la nostra resistenza al cambiamento è feroce”, rimarca Denis Côtè che, parlando poi della situazione politica attuale del Quebec cui dice di essersi ispirato per il film, racconta di come la nazione viva una sorta di isolamento dal resto del mondo: “Non abbiamo molti interessi o punti in comuni con gli americani, il modo con cui comunichiamo con il resto del Canada non francese è una sorta di indifferenza. Anche rispetto ai fenomeni di migrazione che stanno sconvolgendo l’Europa, in Canada siamo abbastanza protetti, ma la questione ha iniziato a destare preoccupazione quando, un paio di anni fa, un piccolo numero di migranti si sono spostati dall’America in Canada. Per la verità il loro numero è stato davvero limitato, e in Quebec avremmo avuto tranquillamente le risorse per accoglierli, ma la reazione della popolazione è stata allarmata e vagamente xenofoba”.

Per intensificare l’atmosfera irreale il film è stato girato in 16mm, scelta che conferisce alle immagini sullo schermo un aspetto granuloso, desaturato e tremolate. “Il film parla della scomparsa di molte cose nella società del Quebec e nel resto del mondo. Una sorta di storia di fantasmi, per questo ho scelto di utilizzare immagini non pulite e a grana grossa” .

Rispetto alla scelta del cast, il regista rivela che non gli piace organizzare casting: “Preferisco scegliere direttamente gli attori e proporgli io il ruolo, è il mio lavoro fare il regista e dirigerli, non tocca a loro provarmi che possono farlo. In questo modo credo che possano dare di più al film”. Così come preferisce andare in giro in prima persona a scegliere le location per le sue storie, come il paesaggio innevato e desolante che avvolge il film: “Non capisco come alcuni miei colleghi possano a stare a casa ad aspettare proposte altrui per un aspetto così fondamentale del film”.

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