Deborah Landis: “Gabriella Pescucci è il mio eroe”

Deborah Landis protagonista del panel Costume Design… Italian Style, prodotto dall’Academy in collaborazione con anche Istituto Luce Cinecittà


La materia di cui sono fatti i film. I costumi. E con loro i gioielli, gli accessori. Per creare questa opera, il costume e i suoi derivati appunto, sono i costumisti, i costume designer, l’anima e le mani creative che danno forma a ciò che concorre a creare la personalità dei personaggi di un film. 

Costume Design… Italian Style: una tavola rotonda dedicata al tema, guidata e moderata da Deborah Nadoolman Landis alla presenza dei nostri Gabriella Pescucci, Daniela Ciancio, Eva Coen, Stefano De Nardis e Carlo Poggioli. Un evento prodotto dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences con la Festa del Cinema di Roma, in collaborazione con ASC, Istituto Luce Cinecittà e Swarovski, che s’è tenuto stamattina al museo MAXXI della Capitale, alla presenza anche di molti studenti aspiranti costumisti.  

Deborah Landis è direttore del David C. Copley Center for Costume Design della UCLA ed è membro dell’Academy. È la creatrice di costumi iconici, tra cui quelli indossati da Harrison Ford ne I predatori dell’Arca Perduta, ed è sua è la celebre giacca di pelle rossa usata da Michael Jackson in Thriller. “Ho cominciato facendo magazzino, per questo mestiere si deve avere un’enorme energia e resistenza, e quando guardo i miei colleghi, in particolare Gabriella Pescucci che è il mio eroe, ho ammirazione profonda: suggerisco agli studenti di iniziare nell’ombra, di fare l’assistente, e costruire pian piano la fiducia in se stessi, per diventare poi costumista”.  

L’incontro, un concreto dialogo sulle peculiarità del mestiere del costumista, ha ospitato anche il punto di vista di prestigiosi colleghi della signora Landis: il premio Oscar Gabriella Pescucci (L’età dell’Innocenza, C’era una volta in America, La Fabbrica di Cioccolato), Daniela Ciancio (La Grande Bellezza, Il Divo),  Eva Coen (Adored, Let’s MamboCrimes) Stefano De Nardis (Coco Chanel, All the Money in the World, Catch-22), e Carlo Poggioli (Ritorno a Cold Mountain, Youth, The Young Pope), introdotti dalle parole del direttore della Festa, Antonio Monda, che auspica: “ Speriamo sia il primo di tanti incontri come questo, grazie anche a Luce Cinecittà”, un ringraziamento rinnovato anche da Laura Delli Colli, presidente di Fondazione Cinema per Roma, che s’è detta: “Affezionata e pronta a condividere i successi e l’amore che nascono dietro il set, e l’eccellenza italiana nel mondo. Siete in cima all’orgoglio – ha detto rivolgendosi direttamente ai costumisti presenti – quando parliamo delle artigianalità italiane”. 

Un entusiasmo raccolto da Deborah Nadoolman Landis, per cui: “E’ fantastico poter avere un panel dedicato ai costumisti, l’evento di oggi è il terzo di una serie: il primo nel 2017 con i costumisti francesi, lo scorso anno in Spagna, il prossimo anno a Berlino e poi saremo a Mosca; sono panel che vogliamo portare in tutto il mondo, la mia aspirazione è creare un’unica rete”. 

Ma cos’è il mestiere del costumista?, con questa domanda Landis ha introdotto il dibattito, precisando che: “C’è una certa confusione: a differenza della moda, non abbiamo etichette suoi nostri abiti. Eppure viene continuamente confuso con ‘la moda nel cinema’: non è il nostro lavoro! Noi crediamo che il personaggio, e ciò che indossa, siano un’unica cosa, e l’abito faccia parte dell’anima. Noi lavoriamo su aspetti specifici, creiamo una personalità unica, cerchiamo di scoprire chi sono le persone di cui parla la storia. È un’espressione pura dell’identità. Il pubblico deve credere che il personaggio abbia una vita prima del film. Talvolta i costumi migliori sono quelli completamente invisibili perché il punto in un film è che si compra un biglietto per vivere un’esperienza, che ti catturi, il resto non dovresti guardarlo, a meno che il regista non voglia… usare il costume per attirare l’attenzione. I costumisti non sono fornitori di abiti, la sostanza conta più dello stile”. 

“Il nostro lavoro è aiutare l’attore ad entrare nel personaggio: non è sempre facile o idilliaco. Ci sono anche momenti di tensione, è un lavoro fatto anche di piccole e dure battaglie, ma la parte più bella è l’inizio, la documentazione, e poi il momento in cui l’attore ha assorbito il tuo lavoro e diventa parte del tutto, in cui ovviamente la regia  è il riferimento da supportare”, dice Gabriella Pescucci, a cui fanno eco le riflessioni di Stefano De Nardis, per cui: “Il miglior costume non è necessariamente il più bello da vedere, ma quello che meglio si fonde nel tutto: un grande costume è quello che fonde entrambi gli aspetti. Di certo, manca poi la percezione della fatica fisica che il mestiere del costumista comporta”, come confermato da tutti i colleghi presenti, tra cui Eva Coen, per cui: “L’apporto del costume è di pari peso a quello dello scritto, che per me, da costumista, è lo spunto più bello: dalla prima lettura scaturiscono le suggestioni che mi portano a fare le proposte; è molto importante ricordare di aver il dovere, come costumisti, di ‘essere dentro’, essere fluidi nel film”, cosa che implica anche grandi abilità psicologiche, sia verso gli attori, che i personaggi, come fa riflettere l’esempio portato da Daniela Ciancio: “Con Toni Servillo ho fatto Il divo e La grande bellezza, due personaggi completamente differenti anche dal punto di vista del costume, per cui ho dovuto togliere a Toni la sua naturale eleganza per farlo diventare Andreotti: non è stata cosa semplice, ho attinto al mio primo maestro in teatro, che aveva imparato a bottega a Napoli il mestiere, e da lì ho creato quello stile anni ’40; quando però, poi, l’attore entra nel personaggio la cosa s’è compiuta. Penso il fitting sia il momento in cui tutto si compie, ma finché non si conosce chi sarà l’attore per il ruolo non accade nulla, perché dobbiamo talvolta essere noi ad aiutare l’attore ad entrare nel ruolo”. Infatti, come specifica Carlo Poggioli: “Il nostro lavoro è differente dagli altri reparti, che non hanno a che fare con ‘qualcuno che parla’: insomma, gli attori non sono pezzi d’arredamento. Il nostro lavoro comporta saper far tutto: da mettere gli spilli a saper riparare una macchina da cucire, oltre che essere psicologi e psichiatri, soprattutto psichiatri”, dice tra serio e faceto il presidente ASC, dando il là a qualche breve e divertente aneddoto in merito, in cui Deborah Landis racconta: “Era la storia di un bibliotecario di Fresno e la mia attrice voleva vestire solo Valentino! S’è inventata una storiella su quando era studentessa in Italia… insomma, alla fine il regista gliel’ha consentito! Era una cosa insensata. Non possiamo pensare di essere sempre in Sex&TheCity con le segretarie che indossano Manolo Blahnik. Poi, ricordo quando ricevetti una telefonata notturna di Milena Canonero piangente, mentre girava Marie Antoinette: Kirsten Dunst si rifiutava di mettere la parrucca perché… le dava fastidio”. E quindi: “Io voglio la laurea in psicanalisi ad honorem!”, sdrammatizza Pescucci in riferimento a queste piccole follie degli attori, con cui il costumista ha a che fare e, a proposito di follia – continua il premio Oscar – “Uno con cui lavoro sempre volentieri, per la sua follia, è Terry Gilliam, ma amo molto i costumi del personaggio di Elisabeth McGovern in C’era una volta in America, come ho molto amato lavorare con Scola”. 

Il panel s’onora anche del sostegno di Swarovski, che “vanta” 31 nomination Oscar, ed è protagonista di pellicole che fin dagli anni ’50 hanno fatto la Storia del cinema mondiale: Gli Uomini Preferiscono le Bionde, con Marilyn Monroe, Colazione da Tiffany, e opere più recenti come Cenerentola, La Bella e la Bestia, e l’ultimissimo bio-pic su Elton John, Rocketman

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24 Ottobre 2019

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