A quattro anni da Tutta colpa di Giuda, Davide Ferrario torna al cinema di finzione con La luna su Torino, fuori concorso al Festival di Roma. E’ una Torino declinata in maniera originale, la sua. Non quella canonica della Mole Antonelliana, né quella a tinte fosche di Profondo Rosso. Il regista sceglie come punto di partenza simbolico una caratteristica nota a pochi della città sabauda: l’esser costruita lungo la linea del 45° parallelo, che divide le due parti del mondo, tra Polo Nord ed Equatore.
“Chiunque si sia trovato ad attraversare la pianura padana – racconta – si è certamente trovato davanti uno dei molti cartelli che indicano questa separazione. Anche Casalmaggiore, dove sono nato, ha questa particolarità, quindi di certo c’è qualcosa di mio. La linea non esiste veramente, anche se a Torino l’hanno tracciata. E’ aperta campagna. Però è un concetto intrigante, l’esser nato a metà del mondo. Non è come essere sugli altri paralleli: è una metafora della vita. Il riuscire a stare in equilibrio, acquisire leggerezza per fare gli acrobati. Per trovare il proprio posto nel mondo, ma con leggerezza. Nel film si vede spesso una mongolfiera, un’entità più leggera dell’aria dalla quale però riesci a vedere tutto il mondo. E’ anche vero che si buca facilmente e può essere portata via dal vento. E’ una storia di precarietà, certamente, ma non la precarietà sociologica di cui si parla fin troppo. E’ una precarietà esistenziale, che c’è da sempre. La vita non è diventata precaria solo negli ultimi anni”.
Interpretato da Walter Leonardi, Manuela Parodi, Eugenio Franceschini, Daria Pascal Attolini, Guido Ottobrino, Benedetta Perego, Franco Maino e Stefano Scherini, La luna su Torino rappresenta un altro passo nel processo di sperimentazione tecnica che ha sempre caratterizzato il cinema dell’autore: “Cerco di rinnovarmi da sempre – continua il regista – Dopo mezzanotte credo sia stato uno dei primi film in assoluto in Italia a essere girato in digitale. In Tutta colpa di Giuda per la prima volta ho usato la Genesis. Qui la Canon 300. Cosa che mi ha permesso, tra l’altro, di realizzare tutto con la luce del set, circa due kilowatt, più o meno quella che abbiamo ora qui, in questa stanza. Quasi tutto wireless, si può definire una produzione a impatto zero, ecologicamente corretta. Pe le riprese aerre ho potuto usare dei droni, piccoli ed economici elicotterini che permettono di ottenere facilmente un punto di vista impossibile fino a pochi anni fa. Quattro settimane di riprese, otto mesi di montaggio. Ho terminato nell’estate 2012 – comunque in ritardo per l’imminente stagione cinematografica – ma il film uscirà solo a marzo, tra il 20 e il 27, con Academy 2. Lavoro sempre così, per me il cinema è riprese e montaggio. Della sceneggiatura faccio carne di porco, insegno all’università come distruggerla. Lavoro di ‘messa in scena’, che è ben diverso. Chi investe su di me deve sapere che la storia può completamente cambiare, quando presento un progetto. L’ho imparato dopo aver ricevuto premi proprio per la sceneggiatura di Dopo mezzanotte, che non avevo mai scritto. Questo è il mio metodo, non significa che sia l’unico giusto”.
Il 45° parallelo, tra l’altro, era stato già al centro di un documentario diretto da Ferrario nel ’97. “Beh, ci abito vicino – conferma Ferrario – non posso evitarlo e mi affascina moltissimo. Tematicamente c’è questa divisione tra nord e sud ma anche un’asse che unisce est e ovest. Come si dice nel film, partendo da Torino e camminando lungo il 45° parallelo si arriva in Mongolia. C’è sicuramente un significato. Non chiedetemi quale, per me è soprattutto una forte suggestione. Giocando con Google Earth ho scoperto che sulla linea c’è anche Bocassette, sull’Adriatico. Magari un giorno vado a vedere cosa c’è lì. Mi interessa di più questo piccolo viaggio che le grandi traversate da cui poi magari torni uguale a prima. Questo per dire che il 45° parallelo potrebbe tornare, nei miei film”. Nel film si cita spessi anche Giacomo Leopardi: “In sostanza il personaggio di Walter è un po’ Leopardi. Un piccolo nobile asserragliato nel suo castello in rovina, che dal suo posto riesce a vedere l’infinito. C’è una riscoperta del personaggio, è vero. Anche Martone sta facendo un film su di lui. A scuola te lo insegnano e poi te lo dimentichi, associandogli anche un’immagine da ‘sfigato’. Invece del mondo aveva capito tutto, perfino il suo lato ridicolo, solo che non ci poteva fare niente. Questa è la problematica dell’esistenza. E allora come fare? Ci si sforza di guardare il mondo con un occhio diverso, magari quello di un mongolo”.
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