DAVID 2001


Tra i tanti problemi del cinema italiano quello della crisi degli sceneggiatori è uno dei più gettonati. La mancanza di un’idea forte alla base del progetto o l’incapacità da parte degli autori di saperne trarre tutte le possibili implicazioni, sono certamente tra gli ingredienti dei molti flop al botteghino. E anche se quest’anno si riscontra un’inversione di tendenza non si è verificato un vero e proprio ricambio generazionale rispetto ai vari Age e Scarpelli, Scola, Benvenuti, Pirro o Solinas.
Il fatto che in una notte di autocelebrazione come quella del David si festeggi con un premio alla carriera – decretato da RaiCinema – una sceneggiatrice del calibro di Suso Cecchi d’Amico sembrerebbe confermare queste riflessioni premiando l’innegabile e profondissimo magistero di una delle penne più geniali del nostro cinema.
Tra tutti gli sceneggiatori affacciatisi alla ribalta dai tempi gloriosi del neorelismo e ancora attivi e validi per tutti gli anni ’60, Suso è sicuramente una delle più colte e delle più eclettiche. A suo agio nella commedia (scrivendo anche per Totò) e nei film drammatici, nel cinema d’impegno civile e nelle opere più leggere (raramente, se non mai, commerciali) è riuscita a collaborare con tutti i più grandi autori del nostro cinema. SUSO CECCHI D'AMICO & LUCHINO VISCONTI Ma la collaborazione che più di tutte ha segnato il suo destino, consegnandola alla storia, è quella con Luchino Visconti per il quale ha scritto non pochi film e, sicuramente, i suoi capolavori (vedi una biografia di Visconti in rete).
Da Bellissima che segna l’inizio della loro collaborazione, all’Innocente, ultimo discusso film del regista milanese, la nostra autrice ha praticamente scritto tutto Visconti con la sola eccezione di Le streghe e dei primi due episodi della trilogia tedesca (avendo però collaborato alla scrittura dei dialoghi di Ludwig).
La sua capacità di adeguarsi alle direttive dei vari registi incontrati sul suo percorso artistico, senza però perdere la propria personalità in un’adesione piatta e acritica, la sua abilità nel tratteggiare con pochi elementi personaggi complessi e sfaccettati sono innegabili.
Eppure Suso si è sempre considerata una mestirante, un piccolo ingranaggio in quella complessa macchina che è il film. Con la modestia tipica delle vecchie botteghe artigiane che hanno sfornato i più grandi nomi della nostra arte e del nostro sapere.
Lezione di umiltà che dovrebbero apprendere non pochi autori del nostro cinema recente, così egocentrato e sicuro della propria autorialità.

autore
09 Aprile 2001

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