Anticipiamo ampi stralci dell’intervista esclusiva che il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini ha concesso alla redazione di 8 1/2 e che trovate integrale sul numero 16 della rivista, in libreria e in versione digitale ad agosto/settembre.
Lei, in occasione della sua trasferta al Festival di Cannes, aveva parlato di una maggiore integrazione tra privato e pubblico, anche riguardo a Cinecittà. Che cosa significa rispetto alla mission di produrre cinema?
Significa mettere Cinecittà nelle condizioni di poter continuare a esercitare il proprio ruolo, rivitalizzando i suoi teatri di posa, messi in seria difficoltà dalla lunga crisi che ha colpito il settore, e coltivando le tecniche e i saperi che fanno ancora grande il nostro cinema. In quest’ottica l’estensione alle produzioni televisive di fiction può essere di grande aiuto. Anche se resto convinto che produrre cinema debba continuare ad essere la missione principale di Cinecittà.
Lei ha inoltre dichiarato che il Festival del film di Roma deve tornare alla sua natura iniziale di Festa del cinema. Quale ruolo pensa debba avere la sezione mercato (The Business Street) alla luce della sconfitta subìta dopo la chiusura del MIFED di Milano?
Per decenni il sistema cinema italiano è stato tripartito: a Roma la produzione, a Venezia la vetrina e a Milano il mercato. Il MIFED è stato costretto a chiudere nel momento in cui il mercato di Los Angeles ha cambiato le proprie date, sovrapponendosi a quello milanese. In un primo momento si è tentato di portare il mercato a Venezia, poi si è deciso di crearlo a Roma, insieme a una Festa che però ha rischiato di contrapporsi a Venezia sia nelle date che nei contenuti. Ora sono certo che la Festa del film di Roma risolverà definitivamente il proprio problema di identità ed esalterà le potenzialità finora inespresse del proprio mercato.
Il nostro cinema contemporaneo, soprattutto di qualità, grazie all’impegno di Luce Cinecittà, Anica e MiSE, e allo straordinario talento di registi della nuova generazione, come testimoniano i vari premi vinti nei festival internazionali e all’Oscar, sta conoscendo una nuova popolarità internazionale. Quali strumenti potrebbe ancora mettere in campo il sostegno pubblico per rafforzare questa tendenza?
Per trovare dei precedenti alla stagione che sta vivendo in questi mesi il cinema italiano, bisogna risalire a molti anni fa, quando la nostra industria cinematografica aveva altri numeri e dimensioni. Il Leone d’Oro a Rosi, il Gran Premio della Giuria alla Rohrwacher, l’Oscar a Sorrentino e quello a Tosi sono quattro luci che rischiarano l’orizzonte della nostra cinematografia, indirizzandoci nuovamente lungo un percorso, in cui un tempo eravamo maestri, e facendoci di nuovo ammirare nel mondo. Ora occorre rafforzare l’internazionalizzazione del nostro cinema di qualità sostenendo le migliori iniziative di eccellenza. Ritengo che un buon esempio da seguire sia l’opera che la Biennale di Venezia compie ogni anno portando in Brasile, Russia, Corea, Singapore, Croazia e Libano una selezione dei film italiani presenti alla Mostra. Un ottimo lavoro che sostiene in modo rilevante il nostro cinema all’estero e credo vada implementato.
Come intende valorizzare la grande storia del cinema italiano?
Penso che a Cinecittà debba nascere un grande museo del cinema italiano, un luogo in cui a fianco della storia dell’Istituto Luce e delle Teche Rai si conservi permanentemente la memoria della nostra cinematografia. Credo ci sia bisogno di un luogo multimediale, attrattivo anche per i giovani, in cui si racconti questa meravigliosa storia. E un museo nazionale del cinema non può che essere a Cinecittà, dove il nostro cinema è nato. E’ un progetto su cui stiamo lavorando, costruendo il più possibile livelli di integrazione tra le diverse istituzioni, dalla Rai all’Istituto Luce.
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