Gioia è una ragazza di diciotto anni, sempre pronta ad aiutare gli altri e il padre Bruno. In due parole, un’anima bella. Vive in un piccolo paesino di campagna nel Centro Italia. Tutti le vogliono bene, ma il padre rischia di sconvolgere il suo mondo e la sua vita per una dipendenza, quella per il gioco.
Dopo l’apprezzato Manuel, Dario Albertini torna con una storia intensa girata in pellicola 16 millimetri, Anima bella, presentata alla Festa del Cinema di Roma, sezione Alice nella città. L’esordiente Madalina Maria Jekal è la protagonista, insieme a Luciano Miele.
Dario Albertini, come ha trovato Madalina Maria Jekal, la ragazza protagonista?
Abbiamo fatto otto mesi di casting. All’inizio in sceneggiatura non avevamo indicato un’età ben precisa, ma una forbice molto ampia. Una storia che potevamo raccontare dai 16 anni ai 40. I provini si sono svolti letteralmente in tutta Italia. Però alla fine non ce n’era nessuna che mi convincesse. Abbiamo tentato degli street casting, era il mese di agosto e siamo andati negli stabilimenti balneari lungo il Tirreno, da Civitavecchia verso Nord, fino a Grosseto. A fine mese, ormai depressi, stavamo tornando a Roma e ci siamo fermati per una frittura di pesce a Tarquinia. Ci è venuta a servire a tavola Madalina, che era la cameriera. Ha un volto che ti porta subito nel dramma, tanto che abbiamo riscritto alcune scene, perché l’intensità del suo sguardo rendeva credibili momenti che sulla carta rischiavano di non esserlo. Lei è vissuta fino a 5 anni in Romania, prima di trasferirsi in Italia.
Il film inizia in un contesto particolare, rurale, una fonte miracolosa intorno alla quale ruotano la ragazza protagonista, con il padre, oltre al parroco e varia umanità. Poi sposta il racconto su un’altra comunità, quella di recupero per ludopatici nella grande città.
Tutte le mie produzioni finora, cinque documentari e due film, le ho girate nella zona di Civitavecchia, dove mi fermai molti anni fa venendo da Roma, innamorato di quel posto. Ho cercato di raccontare un luogo che conosco molto bene, popolato di gente di ogni provenienza, essendo pur sempre una città portuale. Lei abita un po’ più a Nord, vicino al Lago di Bolsena, ma il modo di parlare è simile. La comunità della prima parte, quindi, la conosco bene. Quella della seconda, definiamola romana, mi riporta alle mie origini. Frequento da tempo dei gruppi di recupero di giocatori anonimi, una tematica che conosco bene, ma non volevo che la dipendenza e il gioco d’azzardo fossero al centro del film. Nel mondo di questi personaggi è presente anche una dimensione mistica. La fonte è un posto incredibile. Nella primissima sceneggiatura, completamente diversa, tutto ruotava intorno alla sparizione di queste acque miracolose, che nella realtà sgorgano esattamente come appare nel film.
Anche il padre, Luciano Miele, ha un’intensità molto interessante, oltre a una notevole intesa con la figlia sullo schermo.
Luciano Miele è un mio amico, ha fatto un enorme lavoro. Ha letto la sceneggiatura e mi ha detto che voleva fare Bruno. Ma lui è l’opposto, magrissimo e sbarbato. Non ero convinto potesse fare il protagonista. Mi ha detto di lasciargli tre mesi e si è presentato ingrassato di venti chili, con una folta barba. Era Bruno. Con loro due ci siamo rinchiusi per un mese e mezzo in un teatro, a parlare e conoscerci. Senza provare, altrimenti sarebbe stato dannoso alla meccanica della recitazione. Questo ha permesso, però, un’unione fra loro due impressionante. Si sono amalgamati e mi sembra che la cosa nel film esca fuori.
Come è nato il piccolo ruolo della compianta Piera Degli Esposti?
La sua parte era nata per Renato Scarpa. Lui poi non ha potuto, ma mi ha detto che un’attrice avrebbe voluto farla: Piera Degli Esposti. Un ruolo così piccolo che mi vergognavo a proporlo a lei. Poi invece l’ho incontrata a casa sua, ed è stato davvero bellissimo. Su quelle tre battute ci siamo stati due giorni. Per me è stata un’incredibile lezione. Non ha voluto vedere il film su un computer, preferiva lo vedessimo insieme in sala. Purtroppo non ha fatto in tempo.
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