Dante Ferretti, presidente operaio

Marco Müller, prodigo di slogan, dopo aver descritto i varchi al Palazzo attrezzati con metal detector come le “Porte di Brandeburgo”, ha ribattezzato Dante Ferretti “il presidente operaio”. Il celebre scenografo premio Oscar, nonostante l’incarico prestigioso, ha infatti dato gli ultimi ritocchi all’installazione dei Leoni davanti al Palazzo, sfoltita rispetto all’anno scorso. Poi ha incontrato insieme agli altri membri della giuria (lo scrittore Acheng, i registi Claire Denis, Edgar Reitz e Amos Gitai, la musicista Emiliana Torrini, la produttrice Christine Vachon) i media accreditati in una conferenza stampa che passerà probabilmente agli annali come la più rapida di questa edizione. Ma Ferretti ha fatto in tempo a commentare l’ipotesi di un Leone italiano, che arriverebbe a parecchi anni da quello assegnato a Così ridevano di Gianni Amelio nel ’98 e che sarebbe quasi garantito proprio dalla sua presenza. “Un Leone all’Italia? Speriamo che lo meriti. Comunque non sono solo, siamo in sette e si deve discutere democraticamente”. Ferretti si dice sicuro che tutti i film in concorso siano belli, se non altro perché sono stati selezionati, quindi è come se avessero avuto una nomination”. Infine, alla bizzarra domanda di una giornalista americana, sulla capacità del cinema italiano di diventare industria, ha replicato: “lo è già, specie per la produzione televisiva. Ci sono tanti talenti, ma certo c’è anche bisogno di un impegno finanziario sempre più forte, per mettere insieme gli sforzi isolati”.