Daniele Luchetti: “La famiglia, ossessione italiana”

Un'apertura in contemporanea con 100 sale: Lacci di Daniele Luchetti, thriller sul tradimento e la coppia vissuta come prigione


VENEZIA – Un’apertura tutta italiana – erano 11 anni che non accadeva. E un’apertura, fuori concorso, altamente simbolica, in contemporanea in cento sale del paese per Lacci, il nuovo film di Daniele Luchetti che sarà distribuito dal 1° ottobre 01. Per Luigi Lo Nigro “un segnale importante per il segmento di qualità, che attende i film di Venezia, mentre i multiplex sono ripartiti con Tenet”.

“Sono felicissimo di inaugurare – dice Luchetti – un festival come questo succederà una sola volta nella storia, siamo i primi a riaprire le danze. Perché una cosa è vedere i film, altra cosa è andare al cinema, anche se con le mascherine. Dedico il festival alle persone che per prime mi hanno portato al cinema, i miei genitori e le mie zie. È bello quando si fa una cosa insieme e cerco sempre di trasmetterlo ai miei figli”.

Ed ecco questo thriller dei sentimenti – passione, violenza, disperazione, ma anche rassegnazione, sconfitta e passività – tratto dal romanzo di Domenico Starnone (Einaudi) e scritto da Luchetti con Francesco Piccolo. Per il regista romano, autore di successi come Il portaborse e Mio fratello è figlio unico, segna un ritorno a Venezia a 22 anni da I piccoli maestri. Ed anche un ritorno al suo tema d’elezione, la famiglia come destino all’infelicità raccontata in opere come La nostra vita (2010), Anni felici (2013) o il più recente Momenti di trascurabile felicità.

“Come mi disse una volta lo scrittore israeliano Yehoshua, la famiglia è un’ossessione tutta italiana, così come la terra lo è per Israele o il denaro per gli Stati Uniti. La famiglia è un microcosmo che aiuta a raccontare un paese intero”. Lacci – come i lacci delle scarpe che ognuno lega come vuole, a volte in modo buffo o ridicolo – che non si sciolgono sono quelli tra Vanda (Alba Rohrwacher) e Aldo (Luigi Lo Cascio). Siamo a Napoli negli anni ’80. La coppia ha due figli, un maschio e una femmina, l’uomo è tutte le settimane a Roma, dove conduce un programma radiofonico. Vanno a una festa di carnevale, passano una serata serena davanti alla tv, poi d’improvviso lui confessa di essere andato con un’altra. Ma è reticente e confuso, quanto lei determinata e aggressiva, lo caccia di casa, sperando che rifletta, e lui va dall’altra. Da questo attacco ad effetto, il film dipana una vicenda sentimentale che si snoda attraverso i decenni, con ripetizioni delle stesse scene da più punti di vista e movimenti tra passato e futuro, fino ad arrivare a mostrarci Vanda e Aldo invecchiati e, sorprendentemente, di nuovo insieme: ora sono Laura Morante e Silvio Orlando (tornato a lavorare con Luchetti quasi vent’anni dopo Il portaborse), mentre i figli sono diventati grandi (Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno) e non indenni da quello che hanno passato, pieni di livore e di vuoti. I due coniugi abitano in una bella casa piena di libri e di carte insieme al gatto Labes, nome tratto da un lemma latino dai significati inquietanti. Un disastro – e una prigione – è questo matrimonio piccolo borghese tenuto insieme per forza e senza vero amore.

“Quando ho letto per la prima volta Lacci ho trovato domande che mi riguardavano e personaggi nei quali era difficile non identificarsi – scrive Luchetti nelle note di regia – Attraverso una storia familiare che dura trent’anni, due generazioni, legami che somigliano più al filo spinato che a lacci amorosi, si esce con una domanda: hai permesso alla tua vita di farsi governare dall’amore? Lacci è un film sulle forze segrete che ci legano. Non è solo l’amore a unire le persone, ma anche ciò che resta quando l’amore non c’è più. Si può stare assieme per rancore, nella vergogna, nel disonore, nel folle tentativo di tener fede alla parola data. Lacci racconta i danni che l’amore causa quando ci fa improvvisamente cambiare strada e quelli – peggiori – di quando smette di accompagnarci”.

Perché trasferire la vicenda dagli anni ’70 del libro agli anni ’80? “Perché negli anni ’70 c’era un’ideologia che guidava le scelte delle persone. Ho spostato più avanti perché volevo che fossero i sentimenti a guidare le azioni. Tante cose sono cambiate nel nostro modo di vivere la coppia. Ad esempio, adesso non si dice quasi più niente davanti ai figli, allora sì. Ma una separazione è sempre una martellata in testa, ieri come oggi”.

Il protagonista è un intellettuale, un uomo che crede nelle parole nel suo lavoro ma non nella vita privata. “La radio – spiega Luchetti – esprime questa centralità della voce, questa fiducia nella parola, nel dialogo. Tutti in questo testo parlano tanto. Attraverso la radio, Vanda scopre chi è l’amante di suo marito e tante altre cose”. Un intellettuale passivo, incapace di modificare la realtà. Una metafora del nostro paese? “Sì, gli intellettuali non sanno cambiare il paese – interviene Francesco Piccolo – ma la sua scelta del silenzio è tardiva e contiene il rammarico di aver detto fin troppo. È un intellettuale che non impara nulla”. C’è una bella differenza tra uomini e donne, le donne si sforzano di capire i sentimenti, l’uomo implode, tace, svicola. “Le donne – dice ancora Piccolo – cercano e danno risposte, gli uomini cercano sempre le domande, non capiscono mai fino alla fine”.

Luigi Lo Cascio dice del suo personaggio: “È confuso, pensa di essere deciso ma non lo è. All’inizio agisce e fa delle scelte che si ripercuotono negativamente sugli altri, non calcola le conseguenze degli atti che compie. Il salto mortale del film è questo: il dramma maggiore arriva dopo la riconciliazione apparente, dopo il perdono, c’è la menzogna, la falsità e la reticenza. Nella seconda parte è il maschio che si consegna al sadismo della moglie e lei che agisce e distrugge fino in fondo”.

Le due età dei personaggi: “Non ho scelto in base alla somiglianza fisica – racconta Luchetti – ma confido nell’immaginazione del pubblico che crede in quello che gli stai raccontando. Laura Morante e Alba Rohrwacher sono tanto diverse, eppure ci credi”. Laura Morante spiega che questo nasce dalla fase di lettura del testo che è servita “ad accordarci come dei musicisti, un film deve essere autentico non verosimigliante e Lacci è riuscito ad esserlo”.

A Linda Caridi è toccato il ruolo della giovane amante di Aldo. “Lei è una primavera per lui – dice l’attrice – un’ondata di leggerezza. Ed è l’unico personaggio risolto, centrato. Gli altri sono logorati dai risvolti di questi lacci, lei sviluppa un unico legame, con lui, ma è pronta a reciderlo. E mi chiedo se possa esistere un legame che ci dia sicurezza senza aprirci alla possibilità del dolore”. Aggiunge il regista: “Il personaggio di Linda è il più libero. È lei che mette in suo amante di fronte alla verità senza averne paura. Non accetta compromessi”. Quanto ai figli “hanno un legame che non hanno scelto e questo è un tema di indagine molto forte. Può riuscire un figlio a slegarsi dai lacci familiari? Secondo me no, anche se compie un gesto di catarsi come si vede nel finale. Le storie raccontate ci illudono che la vita abbia un senso, ma la vita non ha alcun finale. Per questo leggiamo le biografie: perché l’eroe, l’eroina, hanno storie compiute e ci raccontano una bugia. In questo caso mostriamo che i figli si possono vendicare dei genitori, ma non credo che si riesca”.

Un film, prodotto da Beppe Caschetto, tutto di interni, appartamenti e studi radiofonici. “Mi sono preoccupato che non fosse teatrale in senso classico – aggiunge Luchetti – e ho trattato gli interni come fossero paesaggi, territori dove si scontrano i personaggi come in un western”.

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