TORINO – Arte o artigianato? Il confine è labile e spesso viene superato nella direzione dell’arte da un coinvolgimento più “evidente” e corposo nel progetto artistico del film, come accaduto con Vittorio Storaro & Carlos Saura e nella battaglia condotta da Storaro per sostituire la denominazione di “direttore della fotografia” con quella di “autore della luce” o, all’anglosassone, cinematographer. Una cosa è certa, il mestiere del dop si sta trasformando rapidamente, grazie anche all’innovazione tecnologica, al passaggio dalla pellicola al digitale, che consente di usare meno luce artificiale e di cogliere la luce naturale, per quanto fioca o sporca. E anche per l’ingresso delle donne, un tempo praticamente assenti da una professione considerata maschile per eccellenza, oggi ben rappresentate da nomi come Hélène Louvart e Francesca Amitrano.
E proprio Francesca Amitrano, napoletana, classe 1979, formatasi al Centro Sperimentale di Cinematografia e cresciuta sui set di autori nuovi come i Manetti bros e Guido Lombardi, è stata ospite dell’incontro che si è svolto al Torino Film Festival organizzato dalla rivista 8 1/2 che dedica la copertina di novembre 2015 ai nuovi direttori della fotografia. Partendo, come al solito, da una domanda di sapore provocatorio: “C’è ancora luce nel cinema italiano?” Ovvero cosa accade dopo la generazione dei padri (Storaro, Rotunno, Delli Colli, Pasqualino De Santis…) e anche dopo gli over 50 indiscutibilmente grandi come Luca Bigazzi, Arnaldo Catinari o Italo Petriccione (per citarne solo alcuni). L’inchiesta di 8 1/2 risponde affermativamente alla domanda, e dà spazio a nomi come Vladan Radovic, Gherardo Gossi, Fabio Olmi, che stanno contribuendo a creare il look e l’atmosfera del cinema contemporaneo. E l’interesse degli studenti che hanno affollato il dibattito torinese conferma la centralità del tema, che si muove tra tecnica e arte.
Il direttore della rivista edita da Luce Cinecittà, Gianni Canova, è convinto che di un film spesso resti impressa nella memoria soprattutto una luce. “La paternità del film – afferma Canova – non è solo del regista ma anche di altre figure artistiche, tra queste i dop sono sempre più marcatamente riconoscibili”. Laura Delli Colli, figlia e nipote d’arte con lo zio Tonino e il padre Franco, avrebbe voluto proseguire la tradizione di famiglia, “ma mi sconsigliavano perché consideravano il mestiere troppo duro fisicamente per una ragazza, con gli chassis da caricare, le macchine da portare, però giocava contro anche l’ambiente maschile e maschilista del set”. Interviene Francesca Amitrano, uscita dal Csc nel 2007 da un corso dove c’era una parità donna-uomo con quattro allieve e quattro allievi, anche se poi, dopo il diploma, la consigliavano di fare la segretaria di edizione. “I nuovi mezzi facilitano l’accesso al mestiere, ma resta un pregiudizio, anche per questo preferisco lavorare con i giovani, perché con i più grandi ho avuto dei contrasti”. Lei mette la sordina al suo stile, perché pensa che debba prevalere lo stile del regista e lavora volentieri anche alle serie tv con i Manetti con cui ha un rapporto privilegiato. Ha iniziato spinta dalla passione per il documentario e dalla consapevolezza che ci fossero delle belle storie ma raccontate con immagini di scarsa qualità e impatto. “Con il mio primo film, Là-bas, avevamo come riferimento Il profeta di Jacques Audiard, ma dovevamo fare tutto con pochi mezzi e attori non professionisti, è stata una sfida trovare i mezzi tecnici giusti”.
Daniele Ciprì, che veste i due ruoli, a volte contemporaneamente come nei film in duo con Maresco, altre volte al servizio della visione di un altro (ha appena finito Fai bei sogni di Marco Bellocchio girato proprio qui a Torino e a Sarajevo), confessa: “Conosco bene le ansie e le attese del regista e talvolta sono io che lo ‘illumino’ mentalmente. Ma siamo in pochi ad avere questo doppio ruolo, Mario Bava era operatore, artigiano e direttore della fotografia, oltre che regista, tra le sue cose più incredibili c’è l’illuminazione delle grotte per Ercole al centro della terra, del ’61”. Ciprì è prodigo di consigli per la giovane platea: “Bello giocare con le lampadine a led, oggi tecnicamente è molto più facile illuminare di un tempo, quando il set si surriscaldava”. Per lui una fonte d’ispirazione sono le chiese e specialmente San Pietro: “Andateci per imparare come illuminare un set, guardate la realtà e soprattutto nel pomeriggio quando la luce è quella giusta, oppure all’alba: esco spesso la mattina presto per guardare Roma”. E poi bisogna conoscere la storia del cinema: “Se uno non vede Dreyer e Tarkovskij, ma anche Billy Wilder, non ha l’immaginario”. Mentre dal punto di vista produttivo lancia un monito: “Siamo poveri e dobbiamo rimanerlo. Spendere tanto è un insulto alla povertà di un cinema come il nostro, si possono usare persino i piatti di carta argentata per le torte per riflettere la luce come ho fatto io agli inizi”. E poi critica il look televisivo: “La tv è il contrario dell’immaginare, cerca di farti vedere tutto, trovo orribile il cliché di Gomorra la serie uguale per i vari registi che si sono avvicendati alla direzione”.
Enzo Carpineta, a lungo operatore prima di passare alla direzione della fotografia, collaboratore di Marco Pontecorvo (altro dop-regista), conferma che nel cinema italiano le possibilità sono sempre ridotte. “Sta a noi trovare soluzioni per portare la nave in porto”. A volte capita di affiancare esordienti o quasi, come quando ha lavorato con Massimo Coglitore in The Elevator. E Laura Delli Colli ricorda di quando suo padre Franco fece l’opera prima di Pupi Avati Balsamus. “Gli Avati ancora lo raccontano: quando arrivarono a Bologna i romani ci dissero di non preoccuparci: il film ve lo facciamo noi”. Carpineta, operatore per nomi come Marco Tullio Giordana e Nanni Moretti, sottolinea la grande umanità che si respira sul set. “La troupe deve avere piena fiducia nel regista, il rapporto tra tutti è molto stretto e l’operatore è come il braccio che scrive per il regista”. Sintetizza Ciprì, “il dop è un osservatore, ma l’operatore è il primo spettatore”.
Dai 26.900 del 2014 si è passa ai 29.700 del 2015, gli incassi da 254.369 € a 264.882, ciò per effetto del maggior numero di ingressi a prezzo ridotto per giovani al di sotto dei 26 anni e delle numerose convenzioni
Il regista danese ha accompagnato al TFF la proiezione di Terrore nello spazio nella versione restaurata: “E’ un modello di cultura pop. Questo film di grande artigianato ha in sé molti approcci stilistici del film di fantascienza e ha superato la prova del tempo. Design, costumi, scenografia risultano efficaci al pari di quelli di titoli come Blade Runner e 2001 Odissea nello spazio. Ma c’è un altro film sottovalutato che andrebbe restaurato Città violenta di Sergio Sollima, con Charles Bronson”. Silenzio assoluto sul nuovo film The Neon Demon e sul progetto tv Les Italiens
A La patota di Santiago Mitre vanno il Premio Speciale della giuria e il Premio per la Miglior attrice a Dolores Fonzi; il Premio per il Miglior attore a Karim Leklou per Coup de chaud, film di Raphaël Jacoulot che conquista anche il Premio del pubblico. Premio per la Miglior sceneggiatura ex-aequo a A Simple Goodbye di Degena Yun e a Sopladora de hojas di Alejandro Iglesias Mendizábal. A Italiana.doc premiati Il solengo di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis e La gente resta di Maria Tilli. Premio Fipresci a Les loups di Sophie Deraspe e Premio Cipputi a Il successore di Mattia Epifani
Conferenza stampa di chiusura veloce e senza polemiche. Paolo Damilano, presidente del Museo nazionale del cinema, si dichiara molto soddisfatto e ricorda che "Valerio Mastandrea, presidente della Giuria, si è stupito quanto il nostro festival sia frequentato e seguito dal pubblico". La direttrice Emanuela Martini incassa il sostegno dei vertici del Museo del Cinema e si dichiara disponibile rispetto al programma cioè “a tagliare al massimo 20, 30 titoli” e anticipa l’idea di replicare il prossimo anno la maratona cinematografica di sabato.
I Premi collaterali
Dustur di Marco Santarelli premiato due volte