Daniel Auteuil e il “filo” della verità

'La misura del dubbio', interpretato e diretto da Daniel Auteuil, è un solido film processuale che mette in discussione il concetto stesso di verità. In sala con BIM dal 19 settembre


Il dubbio, la verità o meglio le verità, l’innocenza e la colpevolezza corrono sul “filo”. Così ci mostra La misura del dubbio, interpretato e diretto dal veterano francese Daniel Auteuil, ennesimo film processuale dalla Francia, generosa per quanto riguarda questo genere sempreverde che ultimamente ha prodotto un capolavoro come Anatomia di una caduta ma anche film notevoli come Saint Omer e Il processo Goldman.

Due i protagonisti assoluti della vicenda: l’avvocato difensore Jean Monier (lo stesso Auteuil), un uomo segnato da un caso che l’ha allontanato dalla carriera di penalista per aver fatto assolvere un pluriomicida molti anni prima, e Nicolas Milik (Grégory Gadebois), un brav’uomo, padre di famiglia accusato di aver ucciso la moglie, alcolizzata e poco attenta a crescere i cinque figli a cui lui invece si dedica anima e corpo. Maître Monier è convinto dell’innocenza di Milik, tanto da decidere di difenderlo pro bono al posto della sua ex moglie (Sidse Babett Knudsen) a cui il caso era stato affidato. Si immerge completamente nell’indagine, al punto da star male fisicamente, da non avere tempo per nient’altro. Passano tre anni e il processo arriva in Corte d’Assise. Non ci sono prove schiaccianti contro Milik ma molti indizi che convergono. Tuttavia il Pubblico Ministero (Alice Belaïdi) è fermamente convinta della sua colpevolezza, avrebbe commesso l’omicidio insieme all’amico, gestore di un bar, con un coltello militare. Milik nega, non c’è un movente e l’avvocato Monier è sempre più turbato all’idea che un innocente possa essere condannato a 20 o 30 anni di carcere.

Il titolo originale del film (Le fil), rimanda a un filo di stoffa blu rimasto sotto le unghie della vittima, che sembra aver lottato contro l’omicida solo all’ultimo momento, perché era qualcuno che conosceva e di cui si fidava. Il fattore umano infatti è preponderante in questo omicidio. Il filo potrebbe essere quello della giacca di Milik, ma non potrebbe essere finito sotto le unghie della morta molte ore prima, durante una lite coniugale tra i due? Ogni personaggio (ma anche ogni spettatore) sembra scegliere tra innocenza e colpevolezza non in base a ragioni logiche ma sulla scorta di un’emozione. Per esempio la sorella della morta, che pure ne ha ereditato la casa, lancia strali contro il cognato e di conseguenza contro l’avvocato che difende “i criminali”. Ma sarà in buona fede?

“E’ stata mia figlia Nelly, che produce il film insieme a Hugo Gélin, a farmi scoprire il blog di un avvocato penalista oggi scomparso, Jean-Yves Moyart, sotto lo pseudonimo di Maître Mô – racconta Auteuil – sono rimasto subito colpito dalla potenza delle storie di vita e di giustizia che raccontava, ma anche dal suo modo di esprimere la solitudine dell’avvocato difensore, l’ultima persona che resta accanto a un imputato e insieme al quale dovrà affrontare tutti gli altri. È quello che costituisce tutta la bellezza di questo mestiere: rendere conto dell’indicibile. Nel corso della lettura, sono rimasto affascinato da questa riflessione attorno al concetto di verità che differisce in ciascuno. La verità che diventa un intimo convincimento, qualcosa di impalpabile. La scoperta di quel blog mi ha portato nel cuore dell’umanità, in tutta la sua forza e la sua fragilità mescolate. Mi è dunque venuta voglia di fare un film per raccontare questa ricerca di verità”.

Auteuil, che come attore ha al suo attivo titoli importanti come Un cuore in inverno e L’ottavo giorno, ma anche N (Io e Napoleone) di Paolo Virzì, non è nuovo alla regia, ma era dal 2018 (l’anno di Sogno di una notte di mezza età) che non ritentava la sfida. Stavolta è anche autore della sceneggiatura insieme a Steven Mitz e ha deciso di spostare la vicenda dal Nord della Francia alla Camargue, la sua terra natale, una terra per certi versi vicina alla Spagna con la tradizione delle corride: il paesaggio inconfondibile e la presenza dei tori hanno un ruolo forte nel creare questo ambiente di provincia, dove più che mai un delitto può maturare in forme inattese e apparentemente incomprensibili. Grégory Gadebois è perfetto nel ruolo dell’uomo mite, incolore, “un adulto bambino” lo definisce Auteuil, che suscita sentimenti contrastanti nello spettatore.

La misura del dubbio arriva in sala il 19 settembre con la BIM.

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13 Settembre 2024

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