Anche in L’ultima parola, come già ne Il ponte delle spie di Steven Spielberg, torna in primo piano la società americana all’epoca della Guerra Fredda, in particolare quegli ultimi anni ’40 e i 50’ caratterizzati dalla caccia al comunista e dalla stretta dei diritti civili e politici in un contesto di ‘democrazia assediata’ dalla minaccia sovietica. Emerge in entrambi i film l’anima liberal americana che pare dirci sotto traccia che è sempre all’orizzonte negli USA il rischio della limitazione delle libertà civili e democratiche.
“A volte diamo per scontati i nostri diritti. La libertà di parola è facile da difendere quando diciamo cose che sono popolari – dice Jay Roach, regista de L’ultima parola in sala l’11 febbraio con Eagle Pictures – ma la Carta dei Diritti è progettata per proteggere le persone che fanno discorsi impopolari, specialmente in tempi di crisi. Dalton Trumbo l’ha dichiarato continuamente, è il cuore dell’esperienza democratica”.
Il film si concentra sulla vicenda centrale di Trumbo, uno degli sceneggiatori più pagati nella Hollywood degli anni ’40, schierato a favore delle proteste e lotte sindacali negli Studios, contro la segregazione razziale. Trumbo, insieme ad alcuni suoi colleghi, è chiamato a testimoniare di fronte alla Commissione per le attività antiamericane nell’ambito dell’ampia indagine sulle attività comuniste negli USA. Un’indagine, in pieno maccartismo, che riguarda migliaia di americani sospettati di esser attivisti e militanti comunisti e che per alcuni significò discriminazioni sul luogo di lavoro o licenziamento.
Una campagna che negli studios hollywoodiani, come ci racconta Roach, vede distinguersi Hedda Hopper (Helen Mirren), famosa e potente editorialista di Hollywood e l’attore John Wayne (David James Elliott), capo dell’Alleanza cinematografica per la tutela degli ideali americani. Trumbo, chiamato a presentarsi davanti alla Commissione, rifiuta di rispondere alle domande, contestando il diritto di questa a indagare sulle opinioni politiche, e decide di non fare nomi o testimoniare contro amici e colleghi, a differenza di Elia Kazan, Edward G. Robinson (Michael Stuhlbarg).
Trumbo si ritrova così tra i famosi ‘’dieci di Hollywood’ che vennero tutti condannati al carcere per oltraggio al Congresso. Una volta uscito dopo un anno di prigione, le grandi produzioni hollywoodiane rifiutano di farlo lavorare, amici e colleghi lo tengono ai margini. L’occasione di tornare a fare lo sceneggiatore gli viene offerta dai fratelli King, produttori di film di serie B, molto interessati ai soldi e poco alle liste di proscrizione. Trumbo, fedele ai suoi ideali, per più di un decennio si vede costretto a firmare sotto falso nome le sceneggiature di film a basso costo.
Vincerà anche due Oscar, ritirati anni dopo una volta ‘riabilitato’, con Vacanze romane (1954) (attribuito al collega Ian McLellan Hunter) e La più grande corrida (1957) (firmato come Robert Rich), in entrambi il suo nome non compare infatti nei credit.
Trumbo non abiura e il suo esilio dai set finirà nel 1960 con l’attore Kirk Douglas e il regista Otto Preminger che renderanno pubblica la sua partecipazione allo script di Spartacus e Exodus.
Le fonti de L’ultima parola sono la biografia non autorizzata “Dalton Trumbo” scritta da Bruce Cook nel 1977 (pubblicata ora da Rizzoli) ma anche le testimonianze delle due figlie Niki e Mitzi, incontrate dal regista. L’interprete Bryan Cranston, candidato all’Oscar, offre il ritratto di un uomo politicamente impegnato a favore dei sindacati e per i diritti civili degli afroamericani, prolifico scrittore di cinema al lavoro spesso immerso nella vasca da bagno, brillante, ambizioso, polemico, non sempre un buon marito e un buon padre.
Il film d’epoca s’avvale di meticolose ricostruzioni, dai costumi agli ambienti della Hollywood d’un tempo, grazie ad alcune location di New Orleans scelte per rappresentare la Los Angeles dagli anni ’40 agli anni ’70. Roach ha inoltre utilizzato efficacemente i notiziari in bianco e nero originali delle udienze tenute dal Comitato per le attività antiamericane. A questi l’autore ha unito filmati delle deposizioni di Trumbo e Edward G. Robinson realizzati appositamente nella forma del vecchio notiziario.
Il risultato finale è un biopic non agiografico, capace di parlare a chi non conosce questo pezzo di storia americana del ‘900, lasciando la voglia di saperne di più di questo ‘comunista’ autore tra l’altro di un unica regia, il film antimilitarista E Johnny prese il fucile (1971), da un suo romanzo del 1939, nonché protagonista di un documentario realizzato nel 2007 da Peter Askin.
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