BERLINO – Preceduto da una fama di capolavoro annunciato, anche perché prodotto con il contributo del Berlinale World Cinema Fund, ecco Harmony Lessons, opera prima del kazako Emir Baigazin, in pole position per un premio importante e secondo alcuni addirittura candidato a un Orso d’oro. Classico film da festival, per le atmosfere simboliste e rarefatte, l’andamento lento e le inquadrature studiate al millimetro, affronta però temi tostissimi come la sopraffazione e la violenza e non risparmia molte scene di tortura prima sugli animali e poi sugli esseri umani.
Il protagonista Timur Aidarbekov è un allievo della scuola media, come tutti gli altri interpreti, e vive in un orfanotrofio ad Almaty, che dopo il film è riuscito a lasciare.
Ha il ruolo di Aslan, tredicenne malaticcio e solitario, con la mania dell’igiene, che cresce senza genitori, con la vecchia nonna, in campagna. Ogni giorno subisce umiliazioni dai compagni di scuola su istigazione del capetto mafioso, un coetaneo che tiene tutti sotto la minaccia delle botte e chiede il pizzo ai compagni. Nessuno interviene: né le famiglie né gli insegnanti, neppure quando un ragazzino perde una gamba per le percosse dopo che gli hanno rubato le scarpe da ginnastica.
Baigazin non ci risparmia nulla a partire dalla prima scena, in cui Aslan scanna una pecora: “Ho deciso di mostrare la cattura della pecora in tutta la sua crudezza – spiega il trentenne regista – perché mi interessava far capire che la ragione principale di questo e di altri atti è la sopravvivenza. È questo il movente delle azioni delle persone”. “Come ogni essere umano – prosegue Baigazin – Aslan è un eroe e una vittima allo stesso tempo, in momenti diversi e in base a diversi sistemi di valori”.
Chiaramente disturbato, Aslan finisce vittima della polizia locale, che lo accusa di omicidio insieme a un amico, e cerca di estorcergli una confessione con la tortura e le minacce. Pare che non ci sia molto di inventato e che i poliziotti usino davvero simili metodi. “Non mi interessava tanto fare un’opera di denuncia, quanto piuttosto mostrare che tutti, vittime e criminali, non capiscono altro linguaggio che quello della violenza e non ci si aspetta altro. Una verità del film, aderente alla realtà del mio paese – aggiunge il cineasta – è che i ragazzi non parlano assolutamente con i genitori, ma lo fanno con i coetanei. Anche quando i coetanei sono una banda di bulli e aspiranti mafiosi. Non viene presa neppure in considerazione un’alternativa. Penso che vivere e sopravvivere in Kazakistan sia molto difficile: la criminalità organizzata controlla tutto e i genitori non immaginano ciò che accade a scuola. È un sistema che costringe i giovani a crescere in fretta”. E tuttavia, chiarisce Baigazin, “questa storia potrebbe aver luogo ovunque, anche negli slum del Brasile o in un villaggio russo. Il comune denominatore è il sottosviluppo economico”.
Per la produttrice Anna Katchko, anche lei molto giovane, è importante che Harmony Lessons abbia avuto il finanziamento della compagnia statale JCS Kazakhfilm avendo vinto la competizione Spotlight: New Kazakh Cinema organizzata nell’ambito dell’International Eurasia Film Festival. Dopo è arrivato anche il sostegno internazionale e così il film è la prima coproduzione tra Kazakhstan ed Europa.
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