“Comincerei col dire che questo film è stato selezionato per la Festa di Roma con una procedura non convenzionale, perché è stato suggerito da me e Bernardo Bertolucci che ne è un grande fan”, ha detto il giornalista Mario Sesti, nel presentare il documentario di Italo Spinelli, Da’Wah (L’invito).
Il film, che sarà proiettato sabato 4 novembre alle 19,00 al Teatro Studio Gianni Borgna alla presenza del regista e di Bertolucci in un evento speciale, è stato girato nel “pondok pesantren” (collegio islamico) Dalwa, nella provincia orientale di Giava, in Indonesia, frequentato di 2.700 ragazzi tra i 6 e i 18 anni, che provengono da tutto il Sud-est asiatico per studiare il Corano e l’arabo.
Attraverso la voce di quattro giovani studenti – Rafli, Masduqui, Yazid, Shofi – che sognano un giorno di poter finalmente divenire ustad, ovvero guide religiose e predicatori dei precetti di Allah, il documentario racconta una giornata tipica all’interno del collegio, dalla sveglia alle tre del mattino per le prime preghiere, alle lezioni e ai momenti di confronto, prima del ritorno a casa per il Ramadan.
“Mi trovavo in Indonesia per girare un film con Kaia Films Indonesia e tra un sopralluogo e l’altro, in luoghi isolati lontani dalle grandi città, ho chiesto di visitare la scuola coranica di Dalwa. Eccezionalmente ci hanno aperto le porte, visto che anche l’ambasciatore era coinvolto nel film, e appena sono entrato nel collegio sono stato invaso da una sensazione di serenità, che mi sarebbe piaciuto raccontare questa realtà al pubblico occidentale”, ha esordito il regista Italo Spinelli, grande conoscitore di Asia e di Islam, che ha raccontato in diversi film e documentari (Terre d’Islam, Gangor), nonché fondatore e ideatore del festival Asiatica Film Mediale di Roma.
“L’Indonesia è il Paese a più alto tasso di musulmani, è una roccaforte dell’Islam: la possibilità di filmare dei teenager che studiano il Corano in una delle scuole più prestigiose del mondo mi è sembrata un’occasione irripetibile. Quei giovani si interrogano sul futuro, come tutti i loro coetanei, condannano all’unanimità il terrorismo islamico e vivono con angoscia e frustrazione la faccia violenta dell’Islam che conosciamo in Europa”.
I giovani incontrati da Spinelli e dalla sua troupe fanno una vita da monaci, studiano 12 ore al giorno, ma amano Valentino Rossi, Francesco Totti e si informano su quello che succede fuori dalle mura di Dalwa. “Ho pensato che mostrare questo lato tollerante e pacifico dell’Islam sarebbe stato importante, per dare un contributo alla conoscenza di una cultura che oggi ci arriva solo nella sua veste violenta – ha detto il regista – perché conoscere significa innamorarsi delle altre culture, che è anche il principio del festival Asiatica”. Quando si parla di religione musulmana, precisa Spinelli, non bisogna fare l’errore di guardare all’Islam come a un monolite sia in un verso che nell’altro. Come il terrorismo non rappresenta la religione di Maometto tout court, così l’Islam pacifico e tollerante di Dalwa non vuole essere l’unico ritratto possibile della religione musulmana, che si declina, invece, in base alle diverse interpretazioni.
Ma qualche considerazione generale si può fare, aggiunge il regista: “In Indonesia, così come negli altri Paesi musulmani, c’è una maggioranza assoluta di popolazione tollerante e contraria alla violenza, che spesso subisce le conseguenze più drammatiche del fondamentalismo e non riesce a contrastare l’islam radicale, che è più aggressivo e ha più visibilità. Oggi la notizia di un attentato, infatti, accentra tutta l’attenzione e copre l’operato della maggioranza silenziosa e pacifica. Jakarta, per esempio, è una città molto aperta, ci sono più chiese che moschee. Inoltre, guardando bene, si capisce che l’Islam e il cristianesimo hanno molte cose in comune e anche nelle Sacre Scritture alcuni insegnamenti sono simili: ciò che cambia è l’uso che si fa della religione”.
Prima di girare, racconta Spinelli, la troupe ha trascorso molto tempo dentro la scuola, parlando con i giovani allievi e prendendo confidenza con il loro spazio. Una volta cominciate le riprese, poi, la troupe è diventata invisibile e ha avuto molta libertà di movimento, entrando e uscendo dalle lezioni, ascoltando i loro discorsi, facendo domande nei momenti di pausa e “commendato insieme gli episodi di terrorismo nel mondo. I ragazzi erano afflitti quanto noi, anzi forse più di noi, considerando che andranno in Yemen dopo la scuola e la situazione lì è quella che conosciamo tutti”, ha concluso il regista.
Il documentario, prodotto da Kaia Films Indonesia, arriverà in sala tra aprile e maggio con la distribuzione Merlino.
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