Le pagine di un diario lungo vent’anni fanno riemergere memorie, ricordi, sogni e sensazioni di un periodo legato a doppio filo alla malattia e successivamente alla scomparsa della madre della regista. Questo è Da lontano, più forte, documentario personalissimo di Annamaria Macripò che passa al Torino Film Festival in questi giorni di chiusura.
Come in un dialogo mai interrotto, immagini, suoni e fotografie, collegate al presente dalla voce fuori campo, raccontano la personale storia di un rapporto madre-figlia attraverso l’ausilio di piccole “capsule del tempo” piene di ricordi. In parallelo, una seconda voce narrante legge le parole di Roland Barthes in ‘Journal de Deuil’, lasciate a testimonianza del suo lutto.
“Preferirei che il film fosse visto senza particolari preamboli o premesse – dice la regista presentando il film – Il lavoro ha richiesto due anni di elaborazione ma affonda le proprie radici in un percorso sotterraneo e molto più profondo e lungo nel tempo, emerso grazie al ritrovamento di tanti piccoli sassolini, briciole come quelle di Pollicino disseminate in un percorso di vent’anni. Riallacciando questi film e recuperando i sassolini, unendo i puntini è stato possibile dare un significato a questo percorso dove tutti questi dettagli e queste sensazioni, emozioni e sogni hanno trovato il loro giusto collocamento, il loro posto, permettendo di ritrovare il senso di tutto quello che ho voluto raccontare. In psicanalisi si parla spesso di “superamento del lutto”, ma qui credo si tratti di qualcosa di diverso: non un superamento, che implicherebbe un “andare oltre”, ma un’accettazione narrata, una volontà di condividere un vissuto certamente negativo, data la malattia e poi la morte di una persona amata, ma costellato di quelle preziosità che ci permettono di sentire nel quotidiano chi è assente fisicamente. Non come ricordo, ma come presenza vitale dentro a attorno a noi; come riferimento costante”.
“Quanto costa evocare un dolore, visto che cancellarlo non si può? – si chiede poi all’interno del film – Voglio allora che sia mio. Lo voglio acquistare in ogni suo piccolo pezzetto sparso in giro. Voglio che sia tutto mio fino in fondo. Solo riempiendo il catino di tutte le lacrime, comprese quelle degli altri, il dolore cesserà di essere follia irrazionale e diventerà conoscenza. Si può continuare a conoscere una persona che non c’è più fisicamente, senza farle perdere la dimensione, il limite, le caratteristiche della sua umanità, senza farla assurgere al ruolo di persona estinta. E quindi da mitizzare? Forse sì, se la persona in questione ha vissuto una vita normale, senza grandi opere da vantare se non una carriera da insegnante. Anche se ai tuoi occhi, ma non solo ai tuoi, è sempre stata speciale, ma che ti sembra di non aver conosciuto abbastanza. Forse perché il tempo da passare con chi amiamo non è mai abbastanza. Soprattutto se chi amiamo, per un motivo o l’altro, scompare dal nostro orizzonte, e non ci si rassegna se la cosa è irreversibile. Conoscere lei è un modo di conoscere me stessa”.
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