CANNES – L’amore si fa storia travolgente, assoluta: ci sono certi amori che non finiscono, “fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Oppure succede solo nelle canzoni? Il meglio di te è un viaggio sentimentale nella natura umana che cerca di rispondere a queste questioni e di raccontare una storia d’amore che si è persa, tra una bugia e una distrazione di troppo.
Il mondo di Nicole e Antonio è esploso, il cielo si è capovolto e loro si sono ritrovati lontani, dispersi, pieni di rabbia, colpa e delusione: la separazione traccia un confine nettissimo tra le loro vite. Ma il destino ha una trama nascosta per ribaltare piani, scompaginare progetti, disseminare dubbi.
Alla fine del “viaggio” si scopriranno loro stessi stupiti di quante trame diverse si nascondano tra le pieghe del destino, appunto.
Il teaser del progetto cinematografico è stato presentato a Cannes 2023, con protagonista femminile Maria Grazia Cucinotta, diretta da Fabrizio Maria Cortese, che accanto a lei ha voluto Vincent Riotta. Il film in prima assoluta su Rai Uno il 3 aprile.
Maria Grazia, destino, passato, tregua, scelta. Il meglio di te raccoglie in sé questi quattro temi, giganti: come si sposano nel racconto e lei come ha lavorato su questi concetti per il personaggio?
Questo personaggio, ammetto, mi ha risucchiata. Da donna è facile immedesimarsi in una storia d’amore, in un rapporto che s’è frantumato perché comunque l’uomo, per quanto possa essere innamorato, è anche facile ti possa ferire. È difficile perdonare e capire l’altro, e quando finisce un rapporto è sempre da parte di entrambi, perché ci si abitua, ci si immedesima troppo nell’altro, ci si scorda della propria vita, e alla fine ti fa rabbia tutto questo quando l’altro ti ferisce, quando tu pensi di essere completamente l’unica persona per lui/lei. Però questo film parla anche di perdono e di opportunità, di vite che non finiscono e continuano, e quindi c’è sempre una rinascita, dopo una morte o una caduta, ed è un messaggio bellissimo. È un film in cui si ride, si piange, ci si emoziona. Abbiamo girato a Rifreddo, Potenza, su una montagna circondati da chilometri di bosco, e ci siamo ritrovati a vivere dentro questa bolla di emozioni pazzesche: il paesaggio partecipava alle emozioni.
Un progetto, per accettarlo, credo debba sempre possedere qualcosa che faccia scattare la scintilla: per questo film qual è stato il suo colpo di fulmine per dire sì?
Ho detto sì quando ho incontrato Fabrizio, perché è un regista che ti coinvolge: non ero convinta al 100% sulla scrittura, c’erano delle cose che non capivo, forse perché non mi identificavo, e invece poi, raccontato da lui, ho compreso quello che non capivo prima e allora ho detto sì e l’ho detto anche per poter lavorare ancora con Vincent Riotta dopo tanti anni – io ho fatto il mio primo film a Los Angeles con lui, e sono passati 27 anni -, non ci eravamo poi più visti per un lungo periodo e ci siamo ritrovati in un anno a fare due film insieme, oltre a questo infatti abbiamo girato quello su Goffredo Mameli, in cui siamo la madre e il padre.
Com’è stata la dinamica lavorativa con Vincent Riotta? Come avete creato la vostra coppia?
Non è stato facile perché lui non è abituato a fare film d’amore, di solito recita ruoli più burberi e poi lui parla italiano benissimo ma è inglese, quindi entrare in una storia, dentro cui è stato catapultato, non era semplice: è stato facile il fatto di conoscerci, quindi di fidarci l’uno dell’altra, e quindi ci siamo ritrovati anche a confrontarci; ricordo un momento di grande stanchezza dove io proprio sentivo di non farcela più, era troppo dolosa la scena, era un punto così intenso in quel momento che… anche se è finzione tu non riesci a tirartene fuori; non è ‘solo un film’, perché tu le emozioni le vivi, le ricordi; compio 55 anni a luglio, per cui di vita vissuta importante ne ho addosso e mi serve per tirar fuori le emozioni e magari anche vincere dei fantasmi interiori, perché comunque la recitazione è anche un po’ un percorso di analisi.
Fabrizio Maria Cortese come ha lavorato sulla recitazione e sulla coppia?
Prima ancora di iniziare a girare, il tempo libero lo passavamo provando insieme le scene, proprio per dar la possibilità a Vincent di entrare ancor più nella lingua italiana, e soprattutto per affiatarci: quello che era scritto era scritto, ma abbiamo fatto nostro il copione. Ci sono tante cose del mio personaggio che mi somigliano, di storie di vita che ho vissuto, provato sulla pelle, e quindi è un film che quando lo guardi ti entra sotto pelle, torna e ritorna, ci ripensi.
È solita guardarsi nei film in cui recita?
Mai. Ma qui mi sono rivista, un po’ con la paura, per la stanchezza che accumuli stando fuori casa per settimane, e sono rimasta molto commossa.
In che momento della sua carriera si considera attualmente? Il futuro imminente cosa fa attendere?
Mi sono sperimentata in quasi tutto, anche la regia m’è piaciuta molto, ed è una cosa sulla quale voglio investire: con il mio amico produttore Corrado Azzollini, che è la mia parte produttiva, poiché io non produco più direttamente ma attraverso lui, abbiamo trovato una storia che può essere interessante e stiamo sviluppando, penso che in un paio d’anni potrei tornare dietro alla macchina da presa, qualcosa che mi affascina. È andata bene col primo corto, Il maestro, con cui ho vinto il Nastro d’argento, poi il secondo, Il compleanno di Alice, mi ha regalato emozioni bellissime.
Quindi, debutterà alla regia nel lungometraggio?
Sì.
La sceneggiatura è originale?
È tratta da un libro, non scritta da me direttamente, ma parteciperò sicuramente, non riesco a essere fuori dal meccanismo.
È un titolo italiano?
No, straniero. Non perché tra gli italiani non ce ne siano, anzi di bellissimi, ma quello mi ha colpita perché molto particolare, su un argomento per cui mi batto tanto. È una storia bella, di cui sono felice, perché poi tutti i miei lavori hanno un messaggio forte.
Sarà anche interprete?
No, no, no, non farò mai più questo sbaglio. Dare l’opportunità ad altri è un regalo che fai a loro ma anzitutto a te stessa, perché con 37 anni di carriera penso di essere sazia, ed è giusto dare spazio ai giovani, ci sono tantissimi talentuosissimi ragazzi che aspettano la loro opportunità.
Spesso si dice, poco si fa.
Perché l’ego vince, anche sulla generosità, ma non lo faccio per questo, ma perché fai parte del progetto anche quando non appari, e permette anche di essere più obiettiva. Poi, ancora, adesso sto lavorando insieme alla regista Francesca Tricarico, che lavora con le donne in carcere, dove nel 2018 mi ha portata per vedere uno spettacolo adattato da Il postino, e da lì mi sono entrate nel cuore queste storie: ci sono donne che si sentono libere in carcere, molte pagano forse più degli uomini, perché la maggior parte di loro si sono ritrovate, non per scelta, ma perché non hanno avuto scelta né libertà; le senti parlare lì e dire che si sentono libere lì dentro, che non vogliono quindi uscire, perché studiano, si laureano, e quindi sono libere. Viviamo di pregiudizi, tanto che mi sono ritrovata personalmente a sentirmi chiedere: ‘perché lo fai? Supporti gente che ha sbagliato’. La maggior parte di loro ha sbagliato, anche con crimini importanti, ma non avevano scelta, dovevano sopravvivere alla vita, quindi non puoi giudicare quello ma io giudico adesso che rinascono nello studio, nella realizzazione, nel riscatto. Il cinema è democratico, come il teatro: danno opportunità a tutti, queste donne sono rinate attraverso lo studio e il cinema deve raccontare tutto.
Potrebbe quindi coinvolgerle nel progetto del film?
Assolutamente sì. Intanto stiamo preparando un docu-film sulla storia di questa loro regista coraggiosa, che lo fa per nulla, anzi chiede in banca prestiti personali, altrimenti non riuscirebbe, perché si parla tanto di inclusione ma non si fa, di non punire e di educare, ma le donne sono comunque molto penalizzate.
La presentazione dell’anteprima a Cannes, nello spazio dell’Italian Pavilion, la casa del cinema italiano, corredata da una performance live acustica, piano e voce, del brano di Giusy Ferreri, Il meglio di te appunto, da lei scritto e interpretato, e che dà il titolo al film.
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