Cronenberg e Von Trier: che America!


D. CronenbergDue grandi maestri, Lars Von Trier e David Cronenberg, hanno gettato i loro sguardi obliqui sull’America inquietante, violenta e razzista, almeno a giudicare dai loro film, entrambi nel listino di 01 Distribution per l’Italia. Il danese del Dogma, con la sua nevrosi a fior di pelle, ha chiesto di non essere ripreso a distanza ravvicinata; mentre il canadese di Crash è apparso sornione e di buon umore, pronto a scherzare con i fotografi fotografandoli in un gioco di specchi e sdoppiamenti che fa tanto pensare al suo cinema schizofrenico.
Lars Von Trier ha portato al festival, dove vinse la Palma d’oro con Dancer in the Dark, il secondo capitolo della sua trilogia brechtiana sull’America. Stesso impianto minimalista e teatrale, stesse ambizioni politiche, ma niente Nicole Kidman, estenuata dopo quell’esperienza. La Grace di Dogville è stata sostituita dalla giovane Bryce Dallas Howard (The Village), una ragazza dall’aria timida che non si è detta intimidita dal confronto.

L. Von TrierManderlay (Alabama) è Sud schiavista dove l’idealista e “candida” figlia del gangster Willem Dafoe tenta di instaurare la democrazia con metodi non sempre democratici, dopo la dipartita della vecchia padrona Lauren Bacall. Nel ruolo dell’anziano capo villaggio il veterano Danny Glover, che dice: “Che lo schiavismo sia continuato ben oltre la guerra civile e l’abolizione della schiavitù non è un’invenzione di Lars, ma il razzismo non riguarda solo gli Stati Uniti e neppure solo i neri”. Mentre il danese, che interromperà la sua trilogia per girare un piccolo film intitolato, guarda caso, Dogma, ha rivendicato il diritto di giudicare (seppure a distanza perché non prende l’aereo) l’America che domina il mondo. “Io sono americano al 60%, anche se non mangio da McDonalds, ma i miei pensieri sono colonizzati dall’America; sono governato ma non posso votare né decidere. Almeno dico la mia, senza essere politically correct”.
Se l’America di Lars è spietata e crudele, quella di Cronenberg è minacciata da una violenza tanto implacabile da annidarsi persino dentro la classica famiglia modello. Papà, mamma, figlio in età di college, bimbetta dai boccoli biondissimi: tutti si vogliono un gran bene fino al giorno in cui due balordi non entrano nell’accogliente caffè gestito dal maritino e non certo per assaggiare il lemon pie. Ma quell’uomo disarmato e gentilissimo riesce a farli secchi in quattro mosse. Per forza: è Viggo Mortensen, l’Aragorn del Signore degli anelli: un giustiziere alla Dirty Harry che nasconde un segreto. Tanti anni prima, a Philadephia, era un gangster sanguinario, poi ha deciso di metter su famiglia e fatto perdere le tracce anche a suo fratello e socio di malefatte (un William Hurt assolutamente sopra le righe) un po’ come accadeva in Indian Runner. Cronenberg, che non ci risparmia facce spappolate e piedi inforchettati, si difende dalle accuse di diffondere l’uso della violenza. “Non mi risulta che la gente vada ad ammazzare i passanti all’uscita dai cinema, altrimenti non ci sarebbe più anima viva in circolazione”.In fondo, riflette il cineasta che qualche anno fa guidò la giuria del festival, quello del bravo ragazzo che sbaraglia i cattivi è un mito americano, nato con il Far West: “Ogni nazione si è costruita con la violenza e ha dovuto riconoscere una violenza legittima”. Anche A History of Violence, dice, è una sorta di western rivisitato e un po’ grottesco. “Il fatto che la gente rida è comprensibile, una reazione isterica agli shock, ma anche un segno di complicità. E se sono complici, vuol dire che la cosa funziona”.

autore
16 Maggio 2005

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