L’esistenza di una mucca da latte, questa la storia di Cow. Il valore del suo “servizio”.
Luma non è una metafora, ma una creatura in carne e ossa. Il documentario dell’autrice britannica Andrea Arnold è un viaggio nell’anima della Natura, un sentire, quello della “maternità” soprattutto, che appartiene alla regista già dal suo corto premio Oscar, Wasp (2003), seppur fosse tutt’altra storia; Cow, infatti, comincia con un atto, simbolico in sé e per tutto il significato del film: Luma – che lo spettatore può riconoscere solamente attraverso delle cifre, 11 29, tatuate sulla natica sinistra – partorisce, momento primo di un processo circolare che si ripeterà con un’altra monta e un altro parto e così via. Occupano l’inquadratura di una regia in cui è regina la macchina a mano, il suo muso umido, lo sguardo tondo e materno, che sembra specchiare anche la consapevolezza dello sfruttamento e della sua “missione” di fattrice di carne da macello, con Arnold che sceglie di escludere, quasi, la presenza dell’uomo, già fin troppo protagonista della vita animale.
“Pensiamo sempre a vivere la natura come qualcosa di positivo e tranquillizzante e sbagliamo: la natura è brutale, totalmente inquieta e piena di paure. Queste non vanno eliminate, vanno accolte come effetto normale del vivere” ha dichiarato Arnold, al suo quinto lungometraggio, per cui “Questo film è un tentativo di prendere in considerazione le mucche. Di avvicinarci a loro. Per vedere sia la loro bellezza che la complessità della loro vita. Quando guardo Luma, la nostra mucca, vedo il mondo intero in lei”.
La nascita, per assoluto istante simbolicamente sublime – seppur, pragmaticamente, anche violento – è qui mostrata nella suo realismo, portato però nella direzione della brutalità, che poi serpeggia un po’ in tutto il doc: la vitellina viene infatti estratta dall’utero materno dopo che l’essere umano ha girato una corda intorno alle sue zampette e così tirato fuori la cucciola, la cui prima visione “della luce” è con l’obiettivo della macchina da presa che l’aspetta appena fuori. Poi, s’esclude la mamma l’allatti, così la neonata viene allontanata, alimentata artificialmente tra le quattro sbarre di una gabbietta e poi marchiata a fuoco sul cranio, affinché non gli crescano le corna in età adulta. Intanto, il cielo sopra le loro teste, espressione tra le più alte e simboliche della Natura, viene tagliato dal passaggio di un aereo, metallica visione emblematica e non casuale, un refrain del film.
La predominante umana e la compassione: Cow chiama in causa il tema del potere e quello “spirituale”, senza che questo appaia una blasfemia, perché, se è vero che esiste un ciclo della vita e un processo naturale garante della sopravvivenza del sistema-mondo, è altrettanto vero che un essere vivente – sia esso anche un animale – non è estraneo a un “sentire”, che non raramente è emotivo, ma fosse anche “solo” di stress fisico non sarebbe secondario nella riflessione sulla relazione con la dimensione che appartiene alla vita in senso assoluto, e non solo – egoisticamente – a quella umana. E Cow scuote in questa direzione.
Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2021, sezione Cannes Prémière, Cow esce su MUBI dall’11 febbraio, stessa data anche Wasp, pluripremiata vicenda di una mamma single di quattro bimbe, alla ricerca di esaudire il desiderio di riaccendere la passione con un ex-fidanzato: interpreti nei ruoli principali sono Natalie Press e Danny Dyer.
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