CANNES – Guerra tra poveri, come in Rosetta. Ma con una speranza in più. Quella che risiede nella capacità degli esseri umani di essere solidali, nonostante le regole sempre più spietate del capitalismo globale. Specie in tempi di crisi e con la concorrenza dei cinesi. I fratelli Dardenne, già due volte Palma d’oro, entrano prepotentemente nel concorso di Cannes con Deux jours, une nuit che, se non sarà terza Palma, potrebbe regalare un premio alla protagonista, la diva di casa Marion Cotillard. Lanciata in una carriera internazionale per i due autori belgi ha recitato in senza trucco e con indosso jeans e t-shirt nel ruolo di Sandra, un’operaia che sta per essere licenziata da una fabbrica di pannelli solari dopo una depressione da cui non si è ancora totalmente ripresa. Autostima sotto le scarpe, continue crisi di pianto, tavolette di Xanax sempre a portata di mano, Sandra ha un unico modo per salvare il posto di lavoro: convincere i suoi compagni, messi sotto ricatto dal padrone e dal caporeparto (Olivier Gourmet), a rinunciare a un bonus di 1.000 euro per farla riassumere. Per convincerli ha soltanto un fine settimana, due giorni e una notte, e l’aiuto del marito Manu (Fabrizio Rongione) che non smette per un istante di stare al suo fianco.
“La crisi economica non favorisce certo la solidarietà, ma questa non è mai stata una cosa scontata, va sempre costruita – spiega Luc Dardenne – anche negli anni ’60, quando si decideva uno sciopero, l’operaio doveva sempre parlare prima con la moglie perché scioperare significava perdere la paga. La solidarietà richiede un atto morale, una decisione. Dunque non credo che sia diminuita nei tempi attuali e il film mostra che esiste ancora, che Sandra, pur non avendo una coscienza politica o sindacale, ce la fa a costruirla”. Ma, rispetto agli anni ’60, Sandra si muove in un contesto sociale dove l’individualismo ha completamente distorto i rapporti interpersonali e dove molte conquiste dei lavoratori sono state spazzate via: alcuni dei compagni di Sandra sono immigrati, tra le sue compagne c’è chi vorrebbe aiutarla ma si scontra con la durezza del marito, attaccato al tornaconto immediato. Il film mostra molto bene tutto questo e il faticoso processo che porta alla formazione di una coscienza. Per questo il finale è così importante. “Avevamo pensato varie soluzioni – racconta Jean-Pierre – alla fine abbiamo scelto di mostrare come la solidarietà dei colleghi e il sostegno del marito abbiano trasformato questa donna, all’inizio disperata e insicura, tanto da farle dire con fierezza ci siamo battuti bene”.
Come al solito nel loro cinema non si danno giudizi morali sui personaggi, neanche su coloro che preferiscono, per vari motivi, tenersi stretto il bonus. “I lavoratori – dice ancora Luc – sono stati messi gli uni contro gli altri, quindi in qualche modo non hanno scelta”. E aggiunge Jean-Pierre: “Hanno tutti delle buone ragioni per dire di sì o di no. Hanno bisogno di quei soldi per pagare le bollette o l’affitto o le tasse universitarie dei figli”.
Ma il film, coprodotto dalla Bim che lo porta in sala il 13 novembre, è anche un interessante esperimento di cinema, Marion Cotillard è quasi irriconoscibile. Come già prima di lei la Cécile De France de Il ragazzo con la bicicletta aderisce completamente al realismo della messinscena. “Ci eravamo incontrati sul set del film di Jacques Audiard Un sapore di ruggine e ossa, di cui eravamo coproduttori”, racconta Luc. “Abbiamo iniziato a scrivere per lei la storia di una dottoressa di periferia, ma non ci convinceva e così è venuta l’idea di farle interpretare questo progetto che avevamo in mente da tempo. È vero, è un’icona, ma grazie al lavoro che facciamo, che è un lavoro molto concreto, molto fisico – camminare, cadere e rialzarsi, rispondere al telefono – è diventata Sandra, operaia, madre di due bambini, insicura e fragile. E ha trovato la giusta distanza anche nel rapporto col marito”. Interviene Marion: “Amo recitare nel ruolo di esseri umani che si battono per la propria vita e che scoprono delle cose nuove in questo percorso, le persone che riescono a sopravvivere e venir fuori da situazioni complicate mi commuovono profondamente”. Marion e Fabrizio Rongione – l’attore di origine italiana che abbiamo visto in diversi film dei Dardenne, tra cui Rosetta e L’enfant – raccontano il metodo di lavoro dei “fratelli” (les Frères, come li chiamano tutti): “Le prove per loro sono fondamentali, si comincia tre settimane prima delle riprese e non si finisce mai, cercano di arrivare alla perfezione nei movimenti dei personaggi e della macchina da presa”. E poi “pensano molto agli spettatori – aggiunge Marion – cosa che non è tanto comune negli altri registi”. E sull’idea di ricevere la Palma della recitazione non si tira indietro: “Ben vengano i premi che portano nuovi progetti e opportunità, come ho imparato vincendo l’Oscar per La vie en rose”.
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