C’è la tendenza a considerare le ragazze e i ragazzi molto giovani come dei soggetti passivi che subiscono il circostante, incapaci di avere una coscienza critica del presente ed elaborare realmente qualcosa di personale. Cosa verrà di Francesco Crispino mostra la falsità di questa ipotesi, facendo una cosa al tempo stesso semplice ma rara: offrire loro la possibilità di parlare.
Il documentario è girato in larga parte nell’istituto “Edmondo De Amicis” di Floridia (Siracusa). Protagonisti sono Alice e Eric, più i loro compagni di scuola. Sono degli adolescenti, anzi, sono nel tripudio dell’adolescenza: hanno tra i dodici e i tredici anni, frequentano la terza media, e in mezzo a mille conflitti esistenziali, sanno che lì ad attenderli c’è la prima scelta “importante” della loro vita, quella della scuola superiore.
Eric e Alice emergono in modo naturale e inevitabile. Eric è più istrionico, ma, insieme a quel lato esibizionista tipico dei maschi di quell’età (e oltre) traspare una sensibilità del tutto speciale: è stato adottato da bambino, e il riverbero del suo passato risuona inevitabilmente nel presente. Alice è più riflessiva e analitica, ma non ha una situazione familiare semplice: vive con gli zii e sente la madre una sola volta a settimana, telefonicamente. Dice che, talvolta, non riesce a capire i suoi sentimenti, e per questo ne è spaventata.
Cosa verrà è stato girato nel bel mezzo del più complicato anno scolastico recente, quel 2020/2021 dove provvedimenti, distanziamenti e chiusure si alternavano con una rapidità e una ciclicità da lasciare il mondo adulto inerme, figuriamoci i tredicenni. Queste difficoltà si sono chiaramente ripercosse sulla realizzazione del documentario, che ha dovuto fare i conti con un progressivo aumento delle limitazioni, e che ha costretto Crispino anche a un lavoro di distanza, per un film che invece punta molto su uno sguardo il più possibile intimo e vicino, autentico.
“Ho scelto il bianco e nero e il formato in 4/3 – ha dichiarato Crispino – perché rappresentava bene il mio sguardo verso questi ragazzi. Il 4/3 rende evidente quasi una mancanza di respiro, un senso di straniamento che questi ragazzi hanno dovuto fronteggiare. Il bianco e nero, invece, è un modo per accentuare i contrasti, che al mio sguardo erano evidenti, sia per quanto riguarda il territorio che il momento storico”.
Lasciarli parlare, dicevamo, offrire loro questa possibilità. “Il mio punto di partenza – ha continuato Crispino – è stata l’osservazione: volevo guardare questi ragazzi, seguirli, ascoltarli, tutto questo partendo da un profondo senso di rispetto per loro. Credo, tra l’altro, che sia un modo di procedere fruttuoso: quando i ragazzi percepiscono il tuo rispetto, lo contraccambiano, e si instaura un clima di reciproca fiducia. Questo progetto voluto dalla scuola, inizialmente, doveva avere come focus un utilizzo più consapevole della plastica, solo che poi tutta una serie di altre istanze si sono aggiunte”.
“La scelta di Alice e Eric – ha proseguito Crispino – è venuta in modo naturale. Quando sono arrivato nella scuola non conoscevo nessuno dei ragazzi, e ho deciso di seguirne una decina. Poi man mano il gruppo si è ristretto fino a quando sono arrivato a individuare tre ‘protagonisti’. Alla fine ho scelto di mantenere solo Alice e Eric, perché mi sembrava che fossero loro a incarnare al meglio il punto di vista che volevo il film possedesse. Mi sono poi reso conto che le loro personalità stavano acquisendo una tridimensionalità cinematografica tale che, mentre nella prima parte del film è tutto documentario puro, nella seconda siamo persino arrivati a confrontarci per la messa in situazione di alcune scene. Niente di costruito, perché i luoghi li hanno scelti loro, così come le cose da dirsi sono fluite spontaneamente, ma è stato possibile con loro instaurare un dialogo che poi ha accentuato e non soppresso il loro potenziale”.
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