Rapporto a due, paziente da una parte, recalcitrante dall’altra.
Alla Festa del cinema di Roma 2023 c’è Comme un fils, dramma diretto da Nicolas Boukhrief, con Vincent Lindon e Karole Rocher.
Il trio presenta la pellicola in conferenza stampa.
“E’ un soggetto che avevo in testa da tempo – dice il regista – perché in Francia avevo notato che ci sono molti comici di stand up che fanno battute razziste sui Rom. Andavano perfino in tv e volevo fare un film su quelli che tutti prendono in giro. Pensavo che non interessasse nessuno ma invece parlandone con Lindon lui se ne è subito innamorato. E’ un nuovo Enfant sauvage, non quello di Rousseau che esce fuori da una foresta, ma quello che possiamo trovare nel mondo di oggi. Garantisco che è un film fatto col cuore”.
“Questo personaggio – dice Lindon – è una metafora del mondo. Un professore che smette di lavorare e cerca di far entrare un escluso nelle scuole della Repubblica. Salva qualcuno da un’ingiustizia, qualcuno che non ha abbastanza denaro per farsi difendere da avvocati forti. Sono attivo nel mondo delle associazioni, e mi sono reso conto che coloro che offrono denaro e aiutano i poveri sono a loro volta gente povera. Sono persone per le quali un euro ha una dimensione enorme e decidono di darlo a qualcun altro. Per questo il mio personaggio è debole: non è un tipo all’apice del successo con una famiglia e due automobili. E’ solo, vedovo, i suoi figli non ci sono più e comincia a disamorarsi del mestiere, o meglio, fa sempre meglio qualcosa che ama sempre meno. E quando questo capita nel mondo dell’insegnamento francese, si è tentati di abbandonare il mestiere. Vive una piccola rivoluzione interna, non riesce più a lavorare con gli studenti, ma trasmettere conoscenza è la sua passione e Dio, al supermercato, gli manda questo giovane Rom che gli fa capire che c’è ancora bisogno di lui. E’ il maggior regalo che possa ricevere in una carriera. Non insegnerà a trenta francesi ma a un bambino Rom che allontanerà da un mondo di perdizione. Se non fossi io a interpretare il personaggio, direi alla persona che sta al cinema con me, ‘lui sono io’, è quello che avrei voluto fare. Il film è un atto politico, come tutto è politico, e si fa politica appena si cerca di aiutare le persone”.
Prosegue Boukhrief: “Dove ci si ferma quando si comincia ad aiutare qualcuno? Inizialmente il personaggio pensa anche di sbarazzarsi del ragazzino, ma presto inizia a imparare da lui almeno quanto insegna. Se vogliamo, il film parla anche del fallimento dei servizi pubblici. E’ il cittadino che aiuta i poveri e gli sprovveduti: se non ci fossero le associazioni in Francia regnerebbe il caos. Basta vivere in Francia per prepararsi a un film così. Vai al Pronto Soccorso e ci passi ore. Non è un problema di personale. Anche in polizia, vai al commissariato e le persone sono gentilissime, ma i mezzi scarseggiano. E il problema dei Rom è un problema reale, nessuno si occupa veramente della comunità. C’è un Commissariato ma sono in cinque a dividersi il lavoro in tutta Parigi. Sono state proprio le associazioni ad aiutarci, anche con il casting”.
Il personaggio di Karole Rocher insegna al professore il volontariato. Dice l’attrice: “Personalmente ho incontrato un’associazione per cpaire come funzionava, ma quello che mi commuove nel film e in ciò che racconta sono le mie proiezioni personali verso la vita. Per me l’ABC perché il mondo funzioni meglio parte dall’occuparsi dell’infanzia. Se incontri un bambino maltrattato o in carenza, se lo guardi con rispetto, lui se ne ricorderà, e forse vent’anni dopo, se deve recuperare la stima in sé stesso, recupererà lo sguardo verso di lui. Lo faccio con i miei figli e tutti dovrebbero farlo. Bisogna essere responsabili e rispettosi verso l’infanzia. I bambini devono capire che sono socialmente importanti al di là dell’etnia. Non ci si può lamentare se non si fa capire loro che hanno un posto nella società”.
Dice ancora Lindon, sul tema del “genere”: “Non ci sono inconvenienti senza vantaggi, né vantaggi senza inconvenienti. Portare avanti una causa politica è diventata quasi conditio sine qua non per ottenere un premio in un festival. E’ un lasciapassare per pretendere di essere selezionati o avere un premio. Ma è ottimo, perché i film possono aiutare a risvegliare le coscienze delle persone, anche se basterebbe vedere ciò che ci accade intorno, leggere i giornali, ascoltare la radio. Ma d’altro canto il cinema è una grande fiction, piccole storie nelle grandi storie. Ci sono film d’avventura ed entertainment che si vanno perdendo, ed è un peccato. Ci devono essere i film umanisti ma è positivo anche che ci siano grandi film di passione, fatte per il piacere del cinema. E i problemi aumentano man mano che aumenta la popolazione mondiale. Noi che facciamo un lavoro creativo abbiamo la fortuna di avere un microfono in mano, e possiamo patrocinare questa o quella associazione. Ma anche una persona comune può essere un eroe che fa cose meravigliose per la propria famiglia, per il proprio quartiere, e va lodata. Solo che il numero di persone che aiutano aumenta meno di quello delle persone che non lo fanno, e più si va avanti, più si va indietro. Non basta fare film per cause importanti. Umanamente poi registi e attori si devono mostrare al livello dei film che fanno. Se fai un film di questo genere e poi non dai mai un euro a un mendicante o tratti male la donna delle pulizie, prendi sempre l’aereo e tieni due macchine, allora non sei più molto interessante. Sembra che tu stia solo facendo lezione, e non può funzionare”.
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